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50 disegni di Enrico Paulucci ad Aliano

Giovedì 22 ottobre 2015, alle ore 18.00, in Palazzo De Leo, Aliano ricorda i tre anniversari del 2015 riguardanti Carlo Levi: l’arrivo ad Aliano (1935), la pubblicazione di Cristo si è fermato a Eboli (1945), la morte (1975). Lo fa attraverso la mostra di uno dei suoi amici più cari, Enrico Paulucci, con il quale condivise studi, viaggi, interessi, idee, progetti, primo fra tutti il “Gruppo dei Sei” e la necessità di parlare di libertà e di Europa in un clima, il clima italiano di allora, in cui l’arte era minacciata da un nazionalismo retorico e da gretti ripiegamenti autarchici.
La mostra nasce da una lettera che Carlo Levi, il 24 dicembre 1935, da Aliano, scrive a Paulucci: “Carissimo Enrico, anzitutto, buon Natale e buon anno! Ti auguro di fare dei bei quadri, e di essere contento. Ho saputo solo oggi della tua esposizione [dicembre 1935] nel Salone della “Stampa”: me lo ha scritto mia madre, e mi ha anche spedito la critica di Marziano Bernardi. La “Gazzetta del Popolo” non ne ha ancora parlato, e per questo io non ne sapevo nulla. Spero tu abbia venduto un mucchio di quadri. Se hai fatto un catalogo, mandamelo, e mandami anche altre critiche che siano uscite su qualche altro giornale; e se hai delle fotografie dei tuoi quadri nuovi, fammele avere, perché vorrei essere al corrente di quello che tu fai di nuovo. Mi interesserebbe molto vedere una fotografia del ritratto che tu hai fatto di Paola [Paola Levi, moglie di Adriano Olivetti, sorella di Natalia Levi Ginzburg], che me ne ha scritto elogiandolo, e dicendomi che, a suo parere, era la miglior cosa di figura che tu avessi fatto; e dei tuoi paesaggi di quest’estate, che mia sorella mi scrive essere migliori di quelli di Roma, più leggeri e ariosi. Ho avuto il Catalogo della Mostra Italiana di Parigi [L’Art Italien des XIX et XX siècles, “Jeu de Paume des Tuileries, Parigi, maggio-luglio 1935”], con i ringraziamenti di Maraini per la mia opera di italianità. Però il Catalogo non mi è piaciuto affatto, e la raccolta delle critiche francesi ancora meno. Vedo che il massimo successo, per quella critica ufficiale, l’hanno avuto Tozzi e Casorati, con cui mi congratulerei, se queste critiche fossero un po’ più serie e competenti: insomma, è il trionfo del neoclassicismo. Tu, mio caro Enrico, se dobbiamo credere a Bernardi, sei invece un neoromantico (che, per fortuna ha abitato a Roma). Quanto a me, che non sono né neoclassico né neoromantico, e che ho la singolare fortuna di vivere nella provincia di Matera, dove queste parole e queste distinzioni estetiche non hanno nessun significato, mi limito a dipingere: ma la solitudine, contrariamente a quello che si crede, non è affatto favorevole alla pittura. Dammi anche notizie delle scenografie e dei costumi teatrali che stai facendo (o forse li hai già finiti?) per Kiki Palmer [Si tratta del Mondo della noiadi G. Pailleron, che la compagnia Palmer porterà in scena nel 1936 con la regia di C. Pavolini], e dimmi quello che dipingono Menzio, Casorati e tutti gli amici pittori. Hai notizie dei nostri quadri dell’esposizione di Londra? Scrivi alla Principessa di Bassiano, e sappimi dire qualcosa. Addio, caro Enrico, scrivimi e ricordati di me. Affettuosamente Carlo”).
La lettera di Levi contiene non solo richieste di materiale informativo, che lo tengano aggiornato sul luogo dove è nato e cresciuto e su quanto si muove intorno al loro lavoro, ma anche giudizi precisi sulla critica ufficiale del tempo, sulla sua pittura, sull’amico Paulucci, sull’ambiente che lo ospita: ho la singolare fortuna di vivere nella provincia di Matera, dove queste parole e queste distinzioni estetiche non hanno nessun significato.
La mostra, a cura di Giuseppe Appella, con la collaborazione di Laura Riccio, dell’Archivio Paulucci, raccoglie 50 disegni, datati dal 1929 (anno in cui Paulucci, come Levi, consolida gli incontri con i pittori più vivi e spregiudicati di Torino) al 1961 (anno in cui gli oggetti, nella sua pittura, cominciano a diventare irriconoscibili). Toccano tutti i temi (il paesaggio, le figure, le marine, le nature morte) e tutte le tecniche (olio, gouache, penna, matita), oltre che il singolare modo di affrontarli: come “proposta di felicità”, a suo tempo affrontata da Italo Calvino, senza mai rinnegare la schiettezza d’espressione e senza mai scadere nella leggerezza, conservando sempre un palpito d’emozione. Non a caso, nel 1962, l’amico di una vita, Giulio Carlo Argan scrive: “La pittura di Paulucci, benché sembri sgorgata di getto, non è senza storia né senza problemi: è passata attraverso tutte le esperienze, per amare e pericolose che fossero, del nostro tempo. Se la regione in cui, da ormai più di trent’anni, si snoda il suo corso è quella della cultura figurativa francese dall’Impressionismo in poi, si tratta pure di una scelta storica, il cui motivo era già manifesto quando, col gruppo torinese dei Sei, si mise contro la corrente ufficiale del Novecento”.

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