Venerdì 14 novembre 2014. Taranto. Inizia il processo di appello per il delitto di Sarah Scazzi. Si accenda la televisione.
Sabato 20 aprile 2013 la Corte di Assise di Taranto ha condannato al carcere a vita Cosima Serrano, madre, e Sabrina Misseri, figlia.
Venerdì 14 novembre 2014, per loro le porte di un’aula di giustizia si riaprono a Taranto per il processo d’appello. Antonio Giangrande ha raccontato la prima parte del processo in un libro “Sarah Scazzi. Il Delitto di Avetrana. Il resoconto di un avetranese. Quello che non si osa dire” e lavora sul sequel nel secondo libro con il titolo aggiuntivo “La Condanna e l’Appello”.
Sabrina Misseri e Cosima Serrano hanno condiviso negli ultimi anni paure, timori, sofferenze ma anche le telecamere e un processo durato 14 mesi. Lei ha oggi 28 anni, è in carcere da più di quattro e con la prospettiva di finire lì i suoi giorni perchè ha sulle spalle il terribile fardello di una condanna all’ergastolo. La madre di anni ne ha 59, è entrata nella stessa cella della figlia pochi mesi dopo e il suo futuro potrebbe restare rinchiuso in quel pugno di metri quadrati. Tutti hanno fatto ricorso, ma per un imputato la Corte di assise di appello dovrà dichiarare l’estinzione del reato perchè Cosimo Cosma, nipote di Michele Misseri, al quale erano stati inflitti sei anni per concorso in soppressione di cadavere, è morto il 7 aprile 2014 per una grave malattia, forse provocata proprio dal dispiacere di esser accusato e condannato da innocente. Gli altri imputati che cercheranno di far valere le loro ragioni dinanzi ai giudici di appello sono Carmine Misseri, fratello di Michele, anche lui condannato a sei anni per concorso in soppressione di cadavere; l’ex legale di Sabrina, Vito Russo jr, al quale vennero inflitti due anni per favoreggiamento personale; e infine altri tre condannati per favoreggiamento, Giuseppe Nigro (un anno e quattro mesi), Antonio Colazzo e Cosima Prudenzano (un anno di reclusione ciascuno).
Siamo in Corte di Appello di Taranto, sezione distaccata della Corte di Appello di Lecce. E un’altra location. Adatta per le telecamere. Siamo al quartiere Paolo Sesto. Non è più il Tribunale tra le anguste vie adiacenti a via Marche.
Altri giudici, di sicuro. Ma non si è certi che questi si discosteranno dalla linea giudiziaria intrapresa in primo grado.
Le tv nazionali ed i talk show sono pronti, orfani da troppo tempo di un evento mediatico senza precedenti. Meno coinvolti sono le tv ed i giornali locali, dietro l’apparente distacco per non far trasparire la palese soggezione, sempre a favore della tesi accusatoria e dei giudici tarantini. Troppo ossequiosi per apparire liberi.
Nel processo Scazzi si scontrano due correnti di pensiero:
Quello di sinistra, che sul principio della separazione dei poteri, sono assorti nel detto “il giudice ha sempre ragione; le sentenze si applicano e non si commentano”. Non sanno quelli di sinistra che i giudici non detengono un potere, che per la Costituzione spetta al popolo, ma sono solo esercenti una funzione, come qualsivoglia dipendente pubblico. Non sanno costoro che tuttora le sentenze si criticano, fino a che in Parlamento non elimineranno la garanzia dell’appello sotto imposizione della casta dei magistrati.
Dall’altra parte troviamo il pensiero della destra che con il suo principio “Legge ed Ordine” non ammette che vi sia un delitto impunito, anche se a discapito di innocenti in carcere.
Oggi i condannati in primo grado nel processo Scazzi sono sottoposti all’attacco di entrambi i fuochi. I pochi garantisti non hanno scampo. Si è detto garantisti, non innocentisti. E’ assurdo pretendere delle garanzie di neutralità attenente alle prove in una funzione giurisdizionale, che fino ad ora a Taranto è mancata, soggiogata dall’influenza mediatica la quale ha già esternato la sua condanna?
La morte della giovane Sarah Scazzi suscitò scalpore e sdegno nell’opinione pubblica, divenendo un caso mediatico che tenne tutti con il fiato sospeso per ben 42 giorni, allorquando il corpo della ragazzina, sparita misteriosamente il 26 agosto 2010, fu ritrovato in un pozzo di contrada Mosca, su ammissione dello zio Michele Misseri, reo confesso di un delitto di cui poi non fu giudicato colpevole. Il contadino, infatti, è considerato inattendibile per via delle sue iniziali contraddizioni e perché mina la tesi accusatoria sin dalle fondamenta.
L’impatto mediatico su questo processo è veramente influente? Si chiede a Franco Coppi. «L’impatto che i mass-media possono avere su un processo dipende esclusivamente dai protagonisti. Se il giudice, il pubblico ministero, l’avvocato hanno i nervi saldi e sanno fare il loro mestiere, sono perfettamente in grado di gestire anche l’eventuale rapporto con giornali e televisioni. Quello che conta in un processo è ciò che succede in aula». Il Professor Coppi, emerito di Diritto Penale presso l’Università di Roma La Sapienza, è uno tra gli avvocati penalisti più noti in Italia anche in virtù della notevole risonanza mediatica che hanno avuto molti tra i processi in cui ha prestato la propria attività di difensore. E, infatti, di palpabile evidenza come i media dedichino sempre più ampio spazio ai delitti che per la loro natura o per la notorietà dei soggetti coinvolti destano maggiore interesse nella pubblica opinione. Ancor prima della celebrazione dei dibattimenti nelle aule di giustizia tali casi divengono oggetto di un procedimento parallelo sui mezzi d’informazione, cui spesso prendono parte i medesimi soggetti a vario titolo coinvolti nel processo reale (indagati, parti offese, investigatori, avvocati e consulenti tecnici). Ciò può determinare oltre ad una eccessiva spettacolarizzazione delle vicende giudiziarie e di fanatismo a favore dei pubblici ministeri, effetti distorsivi e di condizionamento sul vero e proprio processo ponendo anche problemi di natura deontologica per i difensori delle parti private coinvolte.
Ma il vero protagonista nel processo mediatico è solo lui, in mezzo a mille comparse.
Franco Coppi è nato a Tripoli, in Libia, allora colonia Italiana, nel 1938. Dal 1975e fino all’anno accademico 2010/2011 è stato professore ordinario di diritto penale presso l’Università di Roma La Sapienza. Nel corso della sua carriera di avvocato ha difeso Giulio Andreotti, don Pierino Gelmini (rinunciando però per le sue troppe esternazioni), Antonio Fazio nel processo per lo scandalo di Antonveneta, due imputati nel caso di Rignano Flaminio, Sabrina Misseri, Raniero Busco, e Gianni De Gennaro nel processo per i fatti della scuola Diaz, Bruno Conti e Francesco Totti nel caso Failla), Vittorio Emanuele di Savoia, Piero Angela, la ThyssenKrupp nel processo per il rogo delle acciaierie di Terni e Silvio Berlusconi nel processo Mediaset, la nota conduttrice televisiva Paola Perego, Francesco Bellavista Caltagirone e Augusto Minzolini, l’ex direttore del Tg1, Vito Miceli (Golpe Borghese), Niccolò Pollari (sequestro Abu Omar), eccetera, eccetera. Una carriera dove gli “eccetera” non contano poco. Dal suo studio (in viale Bruno Buozzi, Roma) sono usciti avvocati come Giulia Bongiorno. Della passione di destra che contraddistingue la Bongiorno è cosa risaputa. Meno pubblica è la tendenza politica di Coppi “con un’anima di sinistra” a dirla alla Salvatore Merlo su Il Foglio.
Forse è quest’anima che ha suscitato in lui, a dispetto degli altri principi o scudieri del Foro, di prendere la difesa di Sabrina Misseri pro Bono, ossia con il gratuito patrocinio.
Il buon Coppi per Sabrina si gioca l’onore e lo fa in modo disinteressato. Non c’è emulo o visibilità che lo soddisfi. «Questo ergastolo è il più grande cruccio della mia carriera», ha spiegato in un’intervista alla giornalista Ilaria Cavo. «Ci sto consumando la mia vita, perché sapere che una ragazza di 23 anni – per me innocente – sta marcendo in carcere con una condanna all’ergastolo, mi toglie il sonno».
Franco Coppi è anche a Taranto il difensore dei Riva. La Cassazione ha annullato senza rinvio il sequestro preventivo per 8,1 miliardi di euro nei confronti della Riva Fire, la Holding che controlla l’Ilva spa. Già la Cassazione, ma qui stiamo a Taranto ed i magistrati sono una corporazione, come una famiglia, della quale Coppi non fa parte. I magistrati, diceva Calamandrei, sono come i maiali. Se ne tocchi uno gridano tutti. Non puoi metterti contro la magistratura, è sempre stato così, è una corporazione. Dal catalogo dei viventi sappiamo che l’avvocato Coppi è un uomo austero, lontano dalle tentazioni mondane. Non ama le cene (e si vergogna di dover sempre dire no) e le feste. Si interessa di arte e pittura, si circonda di cani e ama restare in disparte, a lavorare. A parte quello delle cravatte (ne ha una quantità mostruosa) non si conoscono debolezze particolari. Romanista. È un uomo superstizioso: scrive solo a mano con una penna ferrari rossa, il suo amuleto. Alle cause particolarmente difficili e importanti si fa accompagnare in tribunale dalla figlia. «La difesa che dà più soddisfazioni è sempre l’ultima in ordine di tempo», dice Coppi. Purtroppo per lui, mi sa che a Taranto non ci saranno soddisfazioni: la sentenza di condanna è già stata scritta sin dal principio……dai media!
Dovrà aspettare che il fascicolo arrivi nella sua Roma e forse, chissà….!!!
Dr Antonio Giangrande – Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
www.controtuttelemafie.it e www.telewebitalia.eu