Scuola: Le metodologie didattiche alternative e l’Italia del nozionismo
Motivare gli adolescenti allo studio diventa impresa sempre più difficile e complessa. Esiste, infatti, una “scienza” che si occupa di studiare il come ed il quando un processo di insegnamento si trasformi in effettivo apprendimento da parte dei soggetti dell’istruzione. Si tratta della Didattica che cerca e sperimenta sempre nuovi metodi operativi per cercare di rendere più agevole ed interessante l’attività dell’apprendere.
Ma è sufficiente mettere a punto nuove tecniche di insegnamento per raggiungere l’agognato obiettivo di coinvolgere un ragazzo/a nel proprio processo formativo o bisognerebbe, anche puntare l’attenzione su chi tali tecniche le deve mettere in atto in un’aula scolastica?
Si diffondono, specialmente in ambiti universitari, nuove metodologie didattiche alternative, studiate per migliorare l’apprendimento, sia per i risultati sia per l’interesse.
Passiamo alla presentazione.
“Learning by doing”, diffuso non solo in campo universitario, ma anche in molte scuole tecniche, punta al “saper come fare a” piuttosto che al “conoscere che”.
“Project work” e “buisness game”, usano invece, la simulazione per l’apprendimento delle teorie di marketing e general managment.
“Role playing”, come dice la parola stessa, è un gioco di ruolo in cui si possono confrontare i vari punti di vista e le varie idee di gestione e di insegnamento.
L'”outdoor training” , dall’inglese “venir fuori”, abbatte gli schemi mentali e uscendo fuori dalle righe, rende l’insegnamento più immediato e fuori dall’ordinario, così che risulti anche più interessante.
Il “teatro d’impresa” è strettamente legato al mondo del mercato in quanto consiste nella simulazione di un’attività teatrale e di una specie di gara tra i gruppi, principalmente due, che nel mettere in scena situazioni lavorative ricche di problemi e relative soluzioni, imparano la gestione dei vari casi pratici con cui è facile venire in contatto.
Le più popolari, per così dire, sono le didattiche fondate sul “brain storming”, ormai utilizzato, se pur solo occasionalmente, dovunque, e la tecnica del “problem solving”. La prima è la “tempesta del cervello”, quindi la messa in comune di idee e pensieri per poi sfociare in una verità accettata e condivisa; la seconda didattica, invece consiste nella presentazione a gruppi di lavoro di una situazione problematica in modo da indurre ciascuno membro dei gruppi ad apportare il proprio contributo alla soluzione del problema. L’ultima didattica è l’”e-learning”, basata sul apprendimento attraverso le tecnologie. E la nostra didattica frontale? Il nostro tipico professore dietro la cattedra che spiega, interroga e annota sul registro?
Le nuove didattiche pare che si diffondano soprattutto nel Nord Europa e nella stessa Italia sono più diffuse al nord che al sud. Ma sono davvero efficaci?
Molti di questi metodi sono validi, sebbene l’accento non è da porre sulla validità del metodo, decisamente secondario, ma su quanti si fanno mediatori dell’istruzione, dell’educazione, non solo in termini di nozioni, ma in termini di “far proprio” l’oggetto di studio. Ogni lezione, condotta con un metodo qualsiasi, può essere più o meno interessante ed efficace culturalmente perché la cultura passa dalle persone non dai metodi. Non vanno confusi i mezzi con i fini, e se il fine è la cultura e non il nozionismo, inteso come mero apprendimento di informazioni, questa passa attraverso gli uomini che usano i mezzi. Ogni uomo che insegni, che si ponga, quindi, come mediatore culturale si deve ritenere libero di scegliere una o più metodologie didattiche, perché non esiste un metodo unico ed infallibile. Per una lezione di filosofia può andar bene il brain storming, ma per una di matematica sarebbe difficile fare lo stesso, mentre si potrebbe valorizzare l’ormai accantonata geografia con l’e-learning.
Ma ben vengano professori che spiegano i radicali con il brain storming e la letteratura con il learning by doing!
All’insegnamento non vanno posti limiti, peccato che siamo tutti in una scuola al novanta per cento monotona, ripetitiva e che questi metodi “non sa proprio dove stanno di casa”.
Però, non facciamo l’errore di credere che l’apprendimento sarebbe più interessante e che gli alunni sarebbero tutti preparati se nelle scuole da domani si usasse un metodo diverso dalla lezione frontale. Il coinvolgimento e l’interesse dipendono dal professore, da quella figura indispensabile, che in alcuni casi può risultare fallimentare e che ha il gravoso compito di “passare” la cultura ad altre menti non sempre predisposte ed attente. Ma se non dipendesse dall’uomo “seduto dietro la cattedra” potremmo tutti rintanarci dietro un pc e imparare tutta wikipedia…
(Davide Contini)