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Introdotto il reato di tortura nell’ordinamento italiano. Il comunicato del Sappe Basilicata

Il DDL approvato in via definitiva alla Camera il 5 luglio scorso, che introduce il reato di tortura nell’ordinamento italiano, non può essere certamente considerato un traguardo di civiltà per questo Paese e soprattutto per le forze di polizia. Con tale provvedimento legislativo è come aver tacitamente ammesso che in Italia si esercita la tortura, mentre tutto il mondo, invece, ci riconosce padroni di una legislazione all’avanguardia, soprattutto in ambito penitenziario, dove la Polizia Penitenziaria esercita una funzione sociale unica ed importantissima. L’introduzione del reato di tortura, invece, pone un serio problema sulla esecuzione dei compiti istituzionali di tutto l’apparato della sicurezza italiano, ed in particolare agli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, sicuramente costretti a subire strumentali denunce di detenuti senza scrupoli, al solo fine di annientare l’importante azione di ordine e sicurezza che viene svolta già con grande difficoltà negli Istituti penitenziari della Basilicata, probabilmente inficiando anche l’attività trattamentale che viene svolta dalla stessa Polizia Penitenziaria, finalizzata al reinserimento sociale dei detenuti.
Lo dichiara Saverio BRIENZA, segretario regionale della Basilicata del S.A.P.Pe. . (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), il primo sindacato dei “Baschi Azzurri” che non nasconde la preoccupazione per il personale di Polizia Penitenziaria, che con tale provvedimento verrà con molta probabilità esposto a strumentali denunce da parte dei detenuti.
La Polizia Penitenziaria non potrà più operare con fermezza per far rispettare i principi di legalità negli Istituti penitenziari, perché si sentirà costantemente a rischio di denunce per qualsivoglia semplice operazione di polizia, ovvero per ritorsioni da parte di detenuti che non accettano e non accetteranno mai di dover rispettare regole di legalità, in un contesto già particolarmente difficile, aggravato dalle costanti aggressioni poste in essere dai detenuti in passato nei confronti degli Agenti penitenziari di Potenza, Matera e Melfi.

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