Commercio di scarti industriali di Enel e Ilva: ancora ingiustizie sui nostri territori
L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, denominata “Araba fenice”, allarga il raggio di imprese coinvolte nella produzione di cemento con polveri di carbone provenienti dagli scarti produttivi della centrale Enel “Federico II” di Cerano.
Già a settembre la stessa inchiesta aveva portato al sequestro di mezzo miliardo di euro di profitti illeciti della centrale Enel, frutto della produzione di cemento attraverso la compravendita di polveri residue dei processi di combustione che, anziché essere smaltite correttamente, venivano mescolate con sostanze altamente nocive come nichel, vanadio, mercurio e ammoniaca. Difatti, quello che sarebbe dovuto essere il costo di smaltimento dei materiali di scarto da parte di Enel è diventato un mezzo di ulteriore profitto che ha fruttato, dal 2011 al 2016, oltre mezzo miliardo di euro e la produzione per i cementifici di oltre 90 tonnellate di cemento. L’inchiesta coinvolgeva anche l’Ilva e, come soggetto acquirente degli scarti, la Cementir di Taranto. Oggi le indagini riguardano quasi 40 cementifici distribuiti in tutte le province pugliesi e anche stabilimenti in Basilicata, Abruzzo e Veneto.
Emerge una rete di legami su tutto il territorio pugliese che ha il suo fulcro nella seconda centrale a carbone più grande d’Europa, già causa di numerose speculazioni e devastazioni ai danni della salute e dell’ambiente nel brindisino (come evidenziato da altre inchieste e studi sulla diffusione dei tumori per inquinamento tra i cittadini). Questa inchiesta mette a nudo l’ostinata ricerca del profitto senza scrupoli col consolidamento di una rete di affari illeciti che ingabbia un settore produttivo di un’intera regione, dai grossi stabilimenti alle piccole aziende di provincia. Il carbone, da materia prima a scarto produttivo, come legame per i guadagni milionari dei due stabilimenti – Enel e Ilva – simbolo di un modello di sviluppo che ha segnato negativamente le vite di migliaia di cittadini pugliesi e continua ad inquinare la nostra terra. Sono le conseguenze delle scelte politiche che da decenni perseguono uno sviluppo diseguale del nostro territorio, legato agli interessi dei grandi privati che si sono imposti determinando il destino delle nostre città: minacciando i cittadini col ricatto salute-ambiente-lavoro, influenzando il sistema economico locale per i propri vantaggi, ripulendo il loro volto con campagne di sponsorizzazioni nel sociale e nelle scuole.
Da cittadini della nostra terra rigettiamo queste speculazioni che, dalla realizzazione di impianti per la propria produzione, si ampliano alla creazione di interessi locali con una larga maglia di affari criminali che subiamo quotidianamente sulla nostra pelle e determinano le vite di chi sceglie di restare nel nostro territorio. Vogliamo decidere su quale sia il modello di sviluppo migliore che tenga in conto e rispetti i luoghi in cui noi viviamo. È un paradosso inaccettabile la giustificazione da parte dei soggetti accusati del commercio di scarti industriali inquinanti come «riuso di rifiuti compatibile con una corretta gestione ambientale e con i principi dell’economia circolare». Occorre una risposta politica ai problemi ambientali della nostra regione. Non basta mantenere il tessuto esistente cambiando la fonte produttiva: non è con la conversione al gas – fonte comunque inquinante – di queste industrie che si trova una soluzione davvero alternativa a questo sistema. È necessario un investimento politico ed economico per la realizzazione di un modello di sviluppo che abbandoni completamente l’uso di fonti di energia fossili per gli impianti e le aziende del territorio, a partire dalla valorizzazione della formazione e della ricerca in questo settore e nella pratica dell’economia circolare reale.