Lettera dell’On. Vincenzo Viti al Sindaco di Matera
Signor Sindaco,
consentimi di segnalare il disagio che avverto, ma credo si tratti di una condizione dello spirito diffusa ormai e incontenibile, nell’apprendere che il Cda si apprende a designare un nuovo Presidente della Fondazione a seguito delle dimissioni, che sono apparse ispirate dello Spirito Santo, di una personalità di rilievo quale la Rettrice Aurelia Sole.
Sono lontanissimo dal porre in discussione il diritto del Cda di provvedere alla sostituzione: peraltro, come era largamente previsto, con un avvicendamento che, al di là dei meriti e delle capacità del Candidato, appare il frutto di un’operazione di Palazzo tutta giocata nella piccola prassi negoziale che regola la vita di un Comune ormai in stato di amministrazione controllata.
Mi pongo, e pongo anche a te, così come la ho posta ai tuoi interlocutori istituzionali, la domanda di come, per questa via, possa mai essere conseguito quel sistema cooperativo che avrebbe dovuto regolare fin da principio il rapporto fra Città, Comune e Fondazione: rapporto come è noto conflittuale, logorato fino alla futilità e inconsistenza.
E’ mancato, manca e purtroppo mancherà, nel clima di diffidenza e di reciproca ostilità, la sostanza di un disegno comune fra una Fondazione, gestita con metodi e cultura subalpina (con stile napoleonico e sabaudo) e un’Amministrazione comunale priva di disegno, alle prese con una prassi levantina e ormai alla mercè del disfacimento fra residui pezzi di partito, frammenti di civismo ed ex voto vaganti, arbitrati ogni giorno con pretese e metodi indegni di una Città Capitale.
Altro dovrebbe dovuto essere invece il percorso da seguire. A partire da un preciso affidamento da sollecitare ad un Consiglio Comunale così inquieto e polemico con la Fondazione, da un difficile confronto con la Città perciò temuto e quindi scongiurato, infine da relazioni più incisive con il Potere Regionale che non può essere considerato un convitato di pietra pur se apparso impegnato in una “souplesse” tollerante verso pratiche non adeguate a livello della cultura civile della città e al suo ruolo.
Credo perciò sia giusto non ignorare, anzi dar voce al diffuso malessere di una città che teme gli indizi di un fallimento annunciato. Mentre il voto popolare e il vento che lo muove appaiono il cattivo sogno da rimuovere nella molle indifferenza del mondo.
Così non va. Non può andare.
Cordiali saluti.
Vincenzo Viti