Difesa dell’ospedale e manutenzione: questi i primi bilanci degli oltre 120 giorni sul tetto
Tinchi – I manfiestanti offesi e delusi dall’ingiunzione del Questore, raccontano anche il lavoro importante misto alla protesta che hanno portato avanti nei circa 125 giorni di presidio sul tetto. Nella nota si legge:
Nella giornata di martedì 19 ottobre la pioggia incessante e il vento impetuoso avevano colpito anche l’ospedale di Tinchi dove da 111 giorni i comitati occupano il tetto più alto del nosocomio.
Il tetto si era completamente allagato perché i pluviali, in mancanza di manutenzione, risultavano otturati, per cui oltre venti centimetri d’acqua si era raccolta sul lastrico solare immediatamente sotto al presidio che per tutta l’estate ha ospitato i manifestanti. L’acqua superò la protezione della guaina è si infiltrò dappertutto raggiungendo in particolare una stanza situata al terzo piano rompendo il controsoffitto. Nel contempo anche la parte di tetto soprastante il vano scala attualmente occupato dal presidio permanente dei comitati e dei cittadini in lotta fu invasa dall’acqua piovana.
Sempre al terzo piano, dove arriva l’ascensore che parte dall’ingresso principale, il vento fortissimo aveva scardinato completamente una finestra che cadde rovinosamente sul pavimento.
Per tutta la giornata, a partire dalla prima mattinata, i manifestanti avevano avvisato il personale dell’ospedale che immediatamente avvisava la direzione sanitaria. In tarda mattinata intervennero alcuni operai che spostavano la finestra dal ballatoio del terzo piano posandola nel corridoio.
Nel corso del pomeriggio i rappresentanti dei comitati facevano fare numerose altre telefonate di sollecito alla direzione sanitaria denunciando lo stato di pericolo e la necessità di mettere in sicurezza il vano scale dove era stata divelta una finestra e dove altre tre minacciavano di fare la stessa fine e inoltre la necessità di intervenire anche sul tetto a sturare i pluviali perché la situazione stava diventando pericolosa.
Solo in tarda serata arrivava sul posto un ingegnere dell’ASM, ma solo dopo che i rappresentanti dei comitati si erano rivolti a rappresentanti politici.
Nel frattempo i manifestanti, stanchi di aspettare inutilmente l’intervento della direzione sanitaria, allertavano i Vigili del Fuoco prontamente intervenuti. Come da verbale redatto dagli stessi risultava che sul terrazzo proprio sopra al presidio il livello dell’acqua aveva raggiunto una quarantina di centimetri per cui una piscina di una cinquantina di metri cubi di acqua minacciava la vita, l’incolumità dei manifestanti e della stessa struttura ospedaliera.
Solo in tarda serata i Vigili del Fuoco riuscivano a svuotare completamente il tetto sopra il vano scala e il resto del tetto dove le infiltrazioni avevano raggiunto una stanza del terzo piano recentemente ristrutturato.
Ancora una volta i comitati denunciavano il totale abbandono al suo destino della struttura ospedaliera di Tinchi da parte della direzione sanitaria. Totale mancanza di manutenzione perché la decisione era quella di chiudere. Solo il pronto intervento dei Vigili del Fuoco è servito ad evitare danni ancora più gravi e, forse, addirittura a salvare la vita di quanti, giorno e notte, occupano il presidio.
La Direzione Sanitaria ha approfittato dell’accaduto per fare pressioni sulla Questura e far sgomberare i manifestanti dal presidio. E il Questore di Matera non ha perso tempo.
Siamo arrivati all’ordine di sgomberare il presidio sul tetto “senza indugi”. Un paradosso tutto italiano. I manifestanti difendono la struttura pubblica dallo stato di abbandono colpevole da parte del direttore sanitario. I manifestanti chiamano i Vigili del Fuoco che la mettono in sicurezza. Il Questore, invece di ordinare lo SGOMBERO dei Direttori generale e sanitario, chiede ai manifestanti di lasciare il tetto.
Ma i manifestanti non hanno nessuna intenzione di abbandonare il presidio, anzi. Ritengono che la loro “occupazione” non è illegale, anzi legittima. Sempre pacifica e rispettosa anche delle poche e ridotte attività che si svolgono ancora nell’ospedale.