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Ancelor Mittal, lettera sottoscritta da 5420 liberi cittadini italiani e 58 Associazioni al Presidente Conte

Egregio Presidente Giuseppe Conte,
adesso dovrebbe bastare, non crede?
In piena pandemia abbiamo finalmente potuto ascoltare dalla sua viva voce che la salute della
popolazione è il primo diritto da tutelare. Come lei sa bene, le parole hanno un peso, un valore, un
significato. Speravamo, in cuor nostro, che la sua dichiarazione valesse per tutti, ma così non è
stato. Una delle poche, pochissime aziende che ha continuato a funzionare senza interruzioni è stata
la ArcelorMittal, a Taranto. Ancora una volta, Taranto è stata trattata a livello di possedimento e non
di parte della Repubblica italiana; ferita e stuprata come una donna succube di folli comportamenti
che qualche uomo (!) potrebbe far passare come diritto.
Quando si parla di produzione di acciaio, tutti gli schieramenti politici si trovano stranamente
d’accordo. E’ su questo argomento che si arenano tutti i dissapori, si appianano le differenze, si
pongono pietre tombali sugli ideali, sia a destra che a sinistra (e lei è stato presidente di un consiglio
dei ministri di centro-destra ed ora lo è di centro-sinistra).
Perseverare è diabolico, dottor Conte, anche quando si parla di una fantomatica ‘produzione
strategica per la nazione’; anche quando quella ‘produzione’ continua ad essere una perdita
economica che porterà alla catastrofe nazionale; soprattutto quando quella ‘produzione’ regala
morte, malattia, disperazione.
Purtroppo, è convinzione comune, tra i politici, che solo grazie all’industria pesante una nazione
può ottenere dal resto del mondo rispetto ed attenzione. Bisogna essere tra i paesi più
industrializzati, se si vuole partecipare ad incontri a numero ristretto. Non interessa quale danno
economico questa idea produrrà, ci si butta a capofitto nell’avventura che già si sa perdente, perché
perdente è ormai da decenni, incorniciandola in definizioni atte a toccare lo spirito dei connazionali:
‘produzione strategica per l’Italia’.
Non importa se le materie prime si devono acquistare da altre nazioni, arricchendo queste a scapito
della propria; non importa se la ‘produzione strategica’ viene affidata ad una multinazionale franco-
indiana, colpevole in tutto il mondo di nefandezze a danno dell’ambiente e della salute delle
persone. Forse importa ancora meno prostrarsi davanti alla suddetta multinazionale, accettando di
rimettere in discussione un contratto già discusso e firmato dalle parti, pur di continuare questa
‘produzione strategica nazionale’.
E quando proprio non ci si può piegare di più, ecco arrivare una falsa ribellione e la dichiarazione
che lo Stato interverrà personalmente attraverso Invitalia, in un rigurgito di nazionalismo che non
tiene conto dei danni all’ambiente e alla salute degli italiani di Taranto e provincia. Con l’arroganza
di credere che il governo avrà la strada spianata, senza neppure considerare un eventuale parere
sfavorevole della Corte dei Conti. E con la presunzione di chi può infischiarsene della sentenza di
condanna della CEDU ed evitare di rispondere al Comitato dei ministri del Consiglio europeo.
Senza dimenticare che entro luglio lo Stato italiano dovrà nuovamente rispondere davanti alla Corte
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Europea dei Diritti dell’Uomo dei diritti, tuttora violati, alla vita e alla salute di noi tarantini (il suo
governo dovrà presentare le memorie difensive entro il 23 luglio). A questo non potrà sottrarsi,
immaginiamo.
Quanto, fino ad oggi, lo Stato italiano ha pagato in stipendi e benefit i commissari governativi?
Quanti miliardi di euro ha messo in campo per l’attuazione dell’A.I.A. (più volte scaduta e più volte
prorogata, al pari di una musica con finale ad libitum) e quali risultati sono stati ottenuti, se non
qualcosa molto vicino allo zero? Il fatto è che, quando si parla di acciaieria con produzione a caldo,
si deve mediare tra salute e lavoro; si arriva addirittura a dichiarare che ‘i tarantini devono scegliere
tra salute e lavoro’, quando sappiamo benissimo tutti che mai è stata concessa tale scelta. Quando si
parla di produzione a caldo (quella altamente inquinante), si sceglie di chiuderla a Genova e a
Trieste per tutelare la salute di lavoratori e cittadini. A Taranto, quindi, non ci sono lavoratori né ci
sono cittadini.
Questo governo, al pari dei precedenti dell’ultimo decennio, non ha tenuto e non tiene in
considerazione i dettami costituzionali che parlano di lavoro da svolgere in salute, in sicurezza, in
un ambiente salubre e con dignità, retrocedendo i lavoratori dell’acciaieria tarantina al ruolo di
schiavi.
In 8 anni, da un sequestro senza facoltà d’uso degli impianti dell’area a caldo, prima con la gestione
statale e dopo con quella del più grande produttore mondiale di acciaio, il governo non è riuscito a
risolvere né i gravissimi problemi d’inquinamento né quelli occupazionali, mentre la fabbrica
continua a perdere fino a oltre 100 milioni al mese. E’ il momento di cambiare strada, di chiudere la
vecchia fabbrica della morte e di riconoscere a Taranto un giusto risarcimento, a partire
dall’istituzione di una no-tax area e un piano di bonifica e riconversione economica studiato da
professionisti di riconosciuto talento, avvalendosi di forza lavoro principalmente tarantina.
Restiamo in attesa di una risposta scritta così come da Lei promesso e dichiarato durante l’incontro
tenutosi con una nostra delegazione nella città di Ceglie Messapica il 09 agosto u.s..
Adesso dovrebbe bastare, non crede?
I 5420 Cittadin

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