Nutrire la salute: Integratori e alimentazione, quali evidenze?
Secondo l’O.M.S., tra i Paesi europei l’Italia si distingue per la più alta percentuale della popolazione con più di 65 anni: 21,4% contro una media europea del 18,5%. Si tratta di una percentuale destinata ad aumentare nei prossimi anni: si stima infatti che nel 2050 un italiano su 3 avrà più di 65 anni.
L’incremento dell’età media della popolazione può essere attribuito ad una complessa serie di fattori, tra loro strettamente
associati, genetici, ambientali e alimentari: migliori condizioni di vita, maggiore disponibilità di alimenti, caratterizzati da crescente varietà e sicurezza, riduzione della frequenza di patologie trasmissibili e maggiore accesso alle cure. A fronte di ciò, il progressivo invecchiamento della popolazione comporta, con frequenza crescente, la comparsa di malattie cronico-degenerative, attribuibili in primo luogo al fatto che l’evoluzione non ha “progettato” l’organismo umano per vivere così a lungo, e che per la maggior parte queste malattie non sono precedute da segnali riconoscibili.
In questo contesto assumono quindi particolare importanza gli interventi di carattere preventivo basati sulla conoscenza e sul controllo dei fattori di rischio delle patologie più diffuse, che rappresentano l’unica arma efficace per ridurre il rischio di esserne colpiti. Soprattutto se rivolti ad una popolazione generale che dimostra sempre maggiore attenzione ai benefici derivanti da stili di vita e alimentari corretti ed è alla ricerca costante di informazioni sempre più dettagliate sulle caratteristiche funzionali di alimenti e nutrienti.
In un documento congiunto di FAO e OMS pubblicato nel 2003, il miglioramento dell’alimentazione della popolazione è indicato come uno degli obiettivi prioritari delle politiche e dei programmi sanitari orientati alla prevenzione di malattie come l’obesità, il diabete, le patologie cardiovascolari (compresi l’ipertensione e l’ictus), i tumori e l’osteoporosi. Vi è ormai la consapevolezza di quanto sia importante conoscere non solo la composizione dei cibi per introdurli nella dieta in modo corretto, a seconda dell’età, dello stile di vita e dello stato di salute, ma anche gli effetti che i diversi componenti producono a livello dell’organismo.
Sebbene l’adozione di uno stile alimentare vario ed equilibrato, specie in persone fisicamente attive, sia ritenuta sufficiente per garantire alla popolazione generale sana tutti i nutrienti necessari, sempre più osservazioni epidemiologiche supportano la necessità di una maggiore attenzione alla copertura del fabbisogno nutrizionale e al sostegno delle funzioni fisiologiche dell’organismo anche nei paesi maggiormente industrializzati. L’apporto giornaliero raccomandato in Italia per i principali macro e micronutrienti è riportato nelle tabelle dei LARN (Livelli di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana), che la Società Italiana di Nutrizione Umana aggiorna con cadenza periodica e che evidenziano come le quantità ottimali di nutrienti non siano identiche per tutte le fasce della popolazione.
Nelle condizioni di aumentato fabbisogno o di apporto inadeguato di nutrienti con la dieta, gli integratori rappresentano una valida e sicura opportunità per favorire l’assunzione ottimale di una o più sostanze e/o il sostegno di funzioni fisiologiche. Contribuendo in alcuni casi anche alla prevenzione di fattori di rischio di malattia, come ormai dimostrano numerose osservazioni epidemiologiche condotte in popolazioni numerose. Questo tema è stato affrontato in un rapporto commissionato da AIIPA (Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari) a un pool di esperti italiani sui temi della nutrizione e della salute (AA.VV. 2016). Si tratta di una review scientifica che fa il punto sullo stato dell’arte in tema di integrazione alimentare, di cui questo articolo presenta le principali evidenze.
Vitamine
Sicuramente le vitamine, insieme ai minerali, sono i nutrienti per i quali è stato identificato e dimostrato il maggior numero di benefici nutrizionali e funzionali e ai quali di conseguenza corrisponde il maggior numero di claims approvati, in relazione a livelli di assunzione giornaliera raccomandati ben definiti. Si tratta di molteplici effetti fisiologici essenziali per la sopravvivenza, che vedono in alcuni casi l’azione combinata di vitamine e/o di vitamine e minerali: ne sono riconosciuti ad esempio 15 per la vitamina C, 10per la B6, 9 per la B2, 8 per i folati (o vitamina B9) ecc.
Tuttavia, la presenza delle varie vitamine, idro e liposolubili, in specifici alimenti fa sì che per alcune di esse il rischio di apporto inadeguato sia particolarmente alto con stili alimentari poco variati e non perfettamente equilibrati. È il caso di alcune vitamine del gruppo B (B12, ma anche tiamina, niacina e B6), per le quali le fonti d’elezione sono cibi di origine animale e i cereali integrali, che possono essere quindi presenti in quantità insufficienti in particolari diete di esclusione. Un discorso a parte poi meritano i folati, un nutriente critico in tutta la vita fertile della donna.
Per la vitamina D, invece, il problema, che per alcune popolazioni è generalizzato, riguarda la presenza di concentrazioni insufficienti nel sangue, dovute soprattutto ad insufficienti meccanismi di sintesi endogena, con conseguenze importanti in termini di rischio di rachitismo e osteoporosi. Ma non solo. Molte ricerche confermano la relazione anche con l’aumento del rischio di patologie cronico-degenerative (soprattutto cardiovascolari) e indicano che l’apporto della vitamina D, le cui fonti alimentari sono piuttosto limitate, è inadeguato specie nelle zone geografiche e nei periodi dell’anno meno soleggiati.
Effetti protettivi importanti e ben noti sono svolti anche dalle altre vitamine liposolubili (A, E, K) e dalla vitamina C. Quest’ultima, insieme alla D e all’acido folico, è stata segnalata nell’ambito di EURRECA (EURopean micronutrient RECommendations Aligned)[1]tra i nutrienti con la maggiore prevalenza di apporto inadeguato in Europa.
Minerali
Claims nutrizionali di vario tipo sono stati approvati anche per i minerali, coinvolti in un gran numero di funzione vitali: 10 per il magnesio, 8 per il calcio, 7 per rame e ferro, 6 per il selenio ecc. Anche peri minerali tuttavia vi può essere un reale rischio di carenza. Rischio che ancora una volta può essere associato a diete di esclusione, come nel caso di calcio e ferro (presenti in concentrazioni elevate in latte e carne rispettivamente), oppure all’assunzione con frutta e verdura anche di fitocomposti come gli ossalati, i fitati, i tannini e le fibre che interferiscono con l’assorbimento dei minerali a livello intestinale. Ad esempio, gli stessi calcio e ferro se apportati dai vegetali sono assorbiti in modo incompleto, in particolare, per il ferro, per il quale si è capita l’importanza di assumere carne e pesce (in una porzione singola da 50 g) per migliorarne l’assorbimento. Il rischio di carenze di specifici minerali, soprattutto calcio, selenio e iodio, è stato descritto anche nella popolazione generale europea. Anche in Italia persiste a tutt’oggi una carenza endemica di iodio in alcune aree, come evidenziato dai dati di monitoraggio del “Programma nazionale di Prevenzione di Disordini da carenza iodica” dell’Istituto Superiore di Sanità, situazione che determina ancora un’alta percentuale di gozzo e disordini correlati.
Multivitaminici-multiminerali
Nell’integrazione finalizzata al mantenimento dei livelli fisiologici di micronutrienti, trovano anche largo impiego i prodotti a base di mix di più vitamine e/o minerali. La sicurezza d’uso di tali prodotti è confermata dai risultati di una meta-analisi di 21 studi clinici randomizzati, che ha evidenziato come consumando multivitaminici composti da micronutrienti a livelli adeguati anche se ben al disotto dei valori soglia, per periodi di tempo più prolungati rispetto ai corrispondenti singoli componenti, si è dimostrata una migliore qualità della vita in generale e il miglioramento di molte funzioni fisiologiche dell’organismo. Un recente studio in cui sono stati somministrati multivitaminici ad una popolazione di 14000 persone di 50 anni e più ha dimostrato che al termine del periodo di osservazione la supplementazione con un multivitaminico è risultata associata a una riduzione modesta, ma significativa, del rischio di tumori, soprattutto tra i soggetti in età più avanzata (70 anni e oltre), confermando ancora una volta l’importanza dell’integrazione con vitamine e minerali in età geriatrica. Inoltre, da un’analisi più recente degli stessi dati è emersa anche una correlazione tra l’integrazione con un multivitaminico e la minore incidenza di cataratta.
A fronte delle diverse funzioni fisiologiche specifiche per i diversi micronutrienti, è stato proposto che l’assunzione di livelli adeguati di tutti i micronutrienti necessari possa comportare ulteriori benefici complessivi, soprattutto nella terza età, modulando i processi comuni all’invecchiamento e alla progressione delle malattie degenerative. Infatti, oltre che al controllo del profilo metabolico, il corretto apporto di vitamine e minerali (oltre che di macronutrienti ed energia) concorrerebbe a rallentare il decadimento dei processi fisiologici dovuto all’età, come la sarcopenia dell’anziano.
Antiossidanti
Oltre alle vitamine e ai minerali, ci sono altre sostanze contenute in piccole quantità e molto diverse tra loro che hanno in comune un’attività di tipo antiossidante e che sono presenti prevalentemente nei frutti rossi, nel tè, nel vino e nel cioccolato. In generale, l’aumento del consumo di questi cibi, e quindi della capacità antiossidante della dieta, si associa all’aumento delle difese dell’organismo contro i processi ossidativi, e al miglioramento del profilo metabolico.
Un importante studio ha evidenziato un feedback positivo tra cibi ricchi di fitocomposti ad attività antiossidante e lo stato di salute, soprattutto in termini di valori della pressione arteriosa e di risposta antinfiammatoria. Tali benefici, strettamente associati all’apporto dietetico, tendono a ridursi con l’età, contemporaneamente alla sempre minore adesione alla dieta mediterranea (ricca in antiossidanti) anche per cause di natura socioeconomica.
Antiossidanti sono la vitamina C, il beta carotene, ma anche composti come le antocianine (contenute nei frutti di colore violaceo), i flavanoli del cacao, gli acidi clorogenici del caffè, il licopene del pomodoro, i polifenoli del vino rosso e dell’olio extra vergine d’oliva.
È stato proposto che il trattamento con antiossidanti possa essere efficace nelle prime fasi dell’insorgenza dell’aterosclerosi, prevenendo l’ossidazione delle LDL e le lesioni ossidative dell’endotelio. Altri studi suggeriscono il ruolo di particolari antiossidanti nella prevenzione della crescita tumorale, dell’infiammazione e della degenerazione del tessuto nervoso. I benefici degli antiossidanti sono stati messi in relazione con la capacità di legare i radicali liberi, proteggendo le cellule dalle reazioni ossidative dell’ossigeno e regolando i processi coinvolti nella trasduzione del segnale.
Acidi grassi polinsaturi e omega-3
La già ricordata essenzialità degli acidi grassi polinsaturi della serie omega-3 deve tenere conto della limitata disponibilità di questi composti nell’alimentazione di tipo occidentale. Mentre il precursore
acido alfa-linolenico si trova in quantità importanti nelle noci, in alcuni semi (lino, soia, colza) e negli oli derivati, nei vegetali a foglie verdi, e in concentrazioni minori in quasi tutti i vegetali, gli omega-3 a più lunga catena EPA e DHA (acido docosapentaenoico e docosaesaenoico) si trovano soprattutto nei pesci grassi che vivono nei mari freddi. I pesci più magri ma da noi più diffusi (sogliola, branzino, orata), così come le uova, sono fonti meno ricche di questi importanti nutrienti.
E’ ormai ben stabilito e assunto dalla comunità scientifica internazionale il ruolo che questi composti (soprattutto il DHA) svolgono nella funzione delle cellule di organi altamente specializzati come il cervello e la retina. Ben noti sono anche i benefici degli omega-3 in prevenzione cardiovascolare strettamente legati alla concentrazione della dose giornaliera assunta e alla durata dell’assunzione, e che si manifestano pertanto con tempi e modalità differenti. 500-1000 mg di omega-3 al giorno sono sufficienti per produrre in poche settimane un effetto antiaritmico o per ottenere la riduzione della pressione arteriosa nell’arco di mesi o anni; sono invece necessarie concentrazioni superiori ai 2 g al giorno (ben lontane quindi da quelle ottenibili con la sola dieta) pe settimane e mesi di assunzione, perché si manifestino rispettivamente l’effetto antitrombotico e la riduzione dei trigliceridi.
Proteine
Tra le proteine, quelle di origine vegetale sono in genere raccomandate da clinici e nutrizionisti in un’ottica di prevenzione, specie delle malattie cardiovascolari. 25-30 g di frazione proteica di soia al giorno, che si è dimostrata efficace nella modesta riduzione della colesterolemia LDL (6-7%) e nell’aumento della colesterolemia HDL, si associano al miglioramento della funzionalità endoteliale e alla riduzione della pressione arteriosa. Studi osservazionali hanno infatti dimostrato che tra le popolazioni asiatiche che per tradizione consumano abitualmente alti livelli di soia si osserva una minore frequenza di malattie coronariche. Nonostante la frazione proteica della soia contenga numerosi componenti biologicamente attivi, compresi alcuni aminoacidi, la fibra, le saponine e le globuline, alcuni studi suggeriscono il contributo dei fitoestrogeni, e in particolare degli isoflavoni, nel determinare i benefici suggeriti dagli studi nutrizionali.
Gli effetti, che sono già evidenti con una dose corrispondente a 40 mg/die di isoflavoni ma possono essere maggiori con dosaggi superiori agli 80 mg/die, sembrano più marcati negli uomini rispetto alle donne, nelle donne in premenopausa rispetto alle più anziane, nei pazienti con colesterolemia basale più elevata, e più significativi a breve termine piuttosto che dopo somministrazione prolungata. Dati incoraggianti vengono anche dagli studi che hanno valutato l’efficacia della frazione proteica del lupino (Lupinus albus), in alternativa a quella della soia, nel controllo dei livelli di colesterolo.
Fibre alimentari
Per fibra si intende quella porzione degli alimenti di origine vegetale che nell’organismo non viene digerita e che quindi, a differenza degli altri nutrienti, passa intatta attraverso lo stomaco e l’intestino senza essere assorbita. Convenzionalmente la fibra viene classificata in solubile (come i beta-glucani, la gomma di guar, le pectine), contenuta principalmente nell’orzo, nell’avena, nei legumi, e insolubile (come la cellulosa e la lignina), presente nelle farine integrali, nella frutta secca e in molti vegetali. Poiché è difficile distinguere i benefici dei due tipi di fibra, che possono coesistere all’interno di uno stesso alimento, si parla quasi sempre di fibra alimentare totale.
Il consumo adeguato di fibra comporta innanzitutto il miglioramento della funzione del sistema gastrointestinale. Sono infatti stati approvati claims nutrizionali per le fibre da germe di grano (coadiuvanti dell’aumento della massa fecale e del transito intestinale), da orzo e avena (coadiuvanti dell’aumento della massa fecale), da segale (per la normale funzione intestinale).Alcune fibre poi come la pectina, i beta-glucani, l’inulina, l’oligofruttosio e le maltodestrine possono essere in parte fermentate dai batteri intestinali che dalla loro digestione producono composti che influenzano positivamente i processi intestinali ed il metabolismo dei carboidrati e dei grassi.
È ormai riconosciuta l’associazione tra l’assunzione di arabinoxilano prodotto dall’endosperma del frumento, nell’ambito di un pasto, e la riduzione dell’aumento di glucosio ematico post-prandiale. Ancora, una dieta ricca di fibra produce una sensazione di sazietà più prolungata nel tempo, anche grazie a meccanismi che influenzano la secrezione di diversi ormoni intestinali. In base a studi recenti poi, la fibra alimentare esercita un effetto protettivo anche sul sistema cardiovascolare. Ad esempio, i beta-glucani, polisaccaridi presenti nella crusca dei chicchi di cereale, e soprattutto dell’orzo e dell’avena, dotati di alta solubilità ed elevato peso molecolare, in presenza di acqua formano una massa viscosa in grado di condizionare diverse funzioni dell’organismo umano.
In particolare, le numerose evidenze scientifiche a supporto dei benefici dei beta-glucani per la colesterolemia hanno portato all’approvazione di specifiche indicazioni per i prodotti che contengono almeno1 grammo di beta-glucani da orzo e da avena nei confronti del mantenimento dei livelli dicolesterolo e della riduzione della colesterolemia (Regolamento UE n. 432/2012). Infatti, i risultati degli studi scientifici dimostrano che 3 grammi di beta-glucani al giorno riducono significativamente la colesterolemia totale e LDL di circa il 5-12% del valore basale e che la riduzione è già evidente (1,73e 2,21 mg/dL) per ogni grammo di beta-glucano assunto con la dieta, con evidenti benefici in termini di mantenimento dei valori fisiologici nella popolazione sana. Grazie all’alta viscosità i beta-glucani sono in grado anche di ritardare lo svuotamento gastrico e quindi l’assorbimento di glucosio. L’analisi di 34 studi clinici ha messo in luce che l’apporto di almeno 4 grammi di beta-glucani comporta una significativa riduzione della glicemia postprandiale.
Prebiotici
Appartengono alle fibre anche i prebiotici: sostanze di origine alimentare, non digeribili dal nostro organismo che però, se somministrate in quantità adeguate, sono in grado di promuovere selettivamente la crescita e/o l’attività di uno o più batteri già presenti nel tratto intestinale o assunti contestualmente al prebiotico, modulando positivamente la salute dell’ospite. Di fatto i prebiotici, attraverso gli acidi grassi a corta catena prodotti per fermentazione, costituiscono il nutrimento per i batteri utili per l’organismo umano – soprattutto appartenenti ai generi Lactobacilluse Bifidobacterium – e ne modificano la funzione, il metabolismo, la crescita e la presenza intestinale.
Sono prebiotici alcuni carboidrati resistenti alla digestione del nostro organismo, come gli oligosaccaridi non digeribili o i carboidrati a corta catena che arrivano all’intestino crasso inalterati, alcune fibre alimentari solubili come l’inulina, e il lattulosio, i cosiddetti “amidi resistenti”, che si trovano ad esempio nella patata e in alcuni frutti acerbi come le banane.
Un effetto clinicamente ben dimostrato riguarda la capacità dei carboidrati poco digeribili e a basso peso molecolare di migliorare il transito intestinale, modulando la flora batterica, nei pazienti costipati. Alcuni studi suggeriscono l’impiego dei prebiotici nel colon irritabile, nella prevenzione di calcoli di colesterolo e delle infezioni di origine intestinale. Anche l’oligofruttosio, come altri oligosaccaridi, ha un effetto rilevante sulla flora batterica del lume intestinale, soprattutto stimolando i bifidobatteri, il cui numerosi riduce progressivamente con la crescita; la supplementazione con oligofruttosio è stata proposta per ridurre il rischio di diarrea e di disturbi del tratto gastrointestinale nei lattanti e nei primi anni di vita. I fruttani, pure ad azione prebiotica, costituiscono un gruppo di fruttooligosaccaridi (FOS) che sono contenuti in concentrazioni nell’ordine dei milligrammi in diversi vegetali (cipolla, banana, frumento, carciofo, aglio, cicoria).
Dr. Maria Adriana Sacco
Farmacista e Biologa Nutrizionista
Studio via Lazazzera, 24/bis tel. 333 9471500 Matera