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Sos dalla chiesa di San Domenico a Pisticci

La Chiesa di San Rocco di Pisticci, aperta nel 1934, necessita ormai da tempo di solleciti interventi di solidificazione e di restauro per le precarie condizioni di precarietà in cui versa. Alle vecchie crepe sulla facciata dell’altare se ne sono aggiunte altre sulla pavimentazione che ne mettono in pericolo la stabilità. A giudizio di tecnici ed esperti e, secondo le testimonianze di antichi documenti, il tempio è attraversato da una sottostante falda acquifera che sfocia nella adiacente piazza La Salsa e che probabilmente è stata la causa principale di frane e smottamenti del terreno che tanti danni hanno causato nel passato. Fedeli e clero sollecitano per questo i necessari interventi ormai non più procrastinabili se si vuole mantenere e consacrare ancora ai posteri e alla storia uno tra i tempi più belli e suggestivi non solo di Pisticci ma di tutta la regione, il cui progetto porta la firma di uno tra i più sensibili e fini interpreti dell’architettura del ‘900, l’architetto, urbanista e accademico Ernesto Bruno Lapadula, noto per aver ideato a Roma il Palazzo della Civiltà Italiana all’Eur. Per dare inizio ai lavori, secondo una stima approssimativa, occorrerebbero circa 700 mila euro, di cui la CEI si farebbe carico della metà. La somma rimanente è tutta ancora da rinvenire. Qualcuno lancia l’idea di una sottoscrizione popolare, proprio come avvenne a partire dal 1932, quando fu promosso un Comitato per l’Erigenda Chiesa di San Rocco che doveva sostituire la vecchia Cappella del Purgatorio ormai inadeguata ad ospitare il flusso di pellegrini e di fedeli. In quella circostanza, il ricavato delle offerte per le Feste Patronali, che si svolsero solo in forma religiosa, fu destinato tutto alla nuova Chiesa, mentre operai, maestranze e lo stesso progettista offrirono gratuitamente la loro prestazione professionale. L’appello dell’arciprete del tempo, don Vincenzo Di Giulio, e della Deputazione delle Feste Patronali era stato recepito in pieno e il patrono San Rocco trovò così più degna collocazione nel nuovo tempio, che divenne punto di riferimento e il fiore all’occhiello dell’arte sacra. Perché non seguire anche oggi questo nobile esempio e quindi destinare ai lavori il ricavato, o parte di esso, delle feste patronali, evitando così di devolvere denaro per spettacoli e spettacolini, come avviene da alcuni anni, con le Feste Patronali che si sono ormai snaturate della loro dimensione di fede, trasformandosi in sagre di complessi di musica leggera, con le vecchie e nostalgiche bande musicali da giro, che sono ormai diventate, a differenza dei paesi vicini, solo uno sbiadito ricordo?

Giuseppe Coniglio

 

 

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