Sette società petrolifere italiane hanno agevolato l’Eni
Secondo quanto riporta il quotidiano La Repubblica il pubblico ministero di Milano, Fabio De Pasquale, contesterebbe a sette società italiane leader del settore petroliero il reato di “corruzione internazionale di pubblici ufficiali stranieri”. La vicenda si innesta in un quadro di grandi affari intorno ad appalti in Iraq e Kazakistan.
A Saipem, Tecnimont, Ansaldo Energia, Elettra Progetti, Siirtec, Renco e Prysmian (leader mondiale dei cavi, con un fatturato da 7 miliardi di euro all’anno), viene contestato di aver agevolato l’Eni, sovra-fatturando i propri compensi, e permettendo che la differenza venisse utilizzata, con operazioni bancarie estero su estero, per pagare grosse tangenti “a pubblici ufficiali stranieri”. Le società, per garantirsi gli appalti Eni, avrebbero partecipato a creare “provviste di denaro”, “pianificando strategie di avvicinamento nei confronti di pubblici ufficiali e organizzando pagamenti di tipo corruttivo”. Il coinvolgimento delle aziende è legato alla responsabilità giuridica degli enti, prevista dal codice con la legge 231.
In sintesi, impianti industriali, cavi, componenti per centrali termoelettriche. Per fornire tutti gli elementi necessari per completare un imponente impianto estrattivo di petrolio, sette multinazionali italiane avrebbero concorso ad allungare consistenti mazzette a politici stranieri. Ma non si nasconda il “filone lucano” di quella stessa inchiesta dei magistrati milanesi che ha trovato ampio spazio sulla stampa lucana e nazionale con la notizia, diffusa nel giugno scorso, del coinvolgimento di tre mediatori e una serie di aziende di ingegneria e costruzioni.
“E l’inchiesta del pm di Potenza, Henry John Woodcock, che ha portato agli arresti domiciliari cinque persone accusate di concorso in corruzione aggravata e continuata, che fine ha fatto? – ha tuonato Filippo Massaro, presidente del Csail-Comitato Indignati Lucani – Specie in questi tempi di accresciuta apprensione da parte di tutti i lucani per i continui rischi di impatto ambientale, come testimoniano lo sversamento di greggio dall’oleodotto Viggiano-Taranto e la vicenda non ancora chiarita dei fanghi di Tempa Rossa 2, l’attenzione dei cittadini per queste vicende giudiziarie non deve affievolirsi. Non vorremmo che il nostro sospetto – l’oro nero arricchisce qualcuno ed impoverisce i lucani, che è la molla principale degli Indignati Lucani – abbia più di qualche fondamento e comunque l’inchiesta Woodcock è stata solo la spia di una pratica diffusa in Paesi esteri e perché no sul territorio nazionale dove ci sono gli idrocarburi. Teniamo dunque i riflettori – è l’appello rivolto a tutti gli organi di informazione – su questi vergognosi fatti”.