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Apprezzato dal pubblico l’incontro culturale sul tema ‘Pascoli, poeta latino’

L’appuntamento “Pascoli, poeta latino”, inserito nelle celebrazioni pascoliane, è stato promosso dall’AICC, Associazione Italiana di Cultura Classica, sezione di Matera, diretta dal prof. Raffaele Bruno in collaborazione con l’Unitep di Matera è stato celebrrato con una conferenza al pubblico in cui era prevista la lettura e il commento dell’’Ultima linea”, a cura dello storico e docente Unitep Giovanni Caserta.

Come è noto, Giovanni Pascoli, professore di latino e greco nel Liceo di Matera dal 1882 al 1884, fu professore di lingua e letteratura latina presso le Università di Messina e di Pisa. E fu anche poeta in lingua latina, in cui primeggiò al punto da essere considerato il più grande poeta latino dal Rinascimento in avanti. Partecipò per ben 30 volte al concorso di poesia latina ad Amsterdam, riportando il primo premio per ben 13 volte (il premio consisteva in una medaglia d’oro). Nel 1907 partecipò con due carmi: “Rufius Crispinus” e “Ultima linea”. Pascoli vinse la medaglia d’oro col “Rufius Crispinus” mentre “Ultima linea” ottenne la “magna laus” perché, si disse in Commissione, il regolamento del concorso non prevedeva due medaglie d’oro.

Intorno al Pascoli latino, come è facile intuire, c’è sempre stato un particolare dibattito. Ci si chiede: che senso aveva scrivere in latino? E di quale latino si tratta? E di quale Pascoli? E con quali esiti poetici? Questi gli argomenti dell’incontro che saranno affrontati venerdì 20 aprile nella sala del Centro Carlo Levi di Palazzo Lanfranchi.

E’ opinione ormai comune – ha dichiarato Giovanni Caserta – che il Pascoli latino sia del tutto assimilabile al Pascoli italiano, sia per le tematiche affrontate, sia per il tipo di latino usato (un latino “franto”), sia per gli esiti poetici conseguiti. Il bilinguismo pascoliano – ha precisato lo storico materano – non è che un aspetto della scelta del plurilinguismo, per cui il Pascoli dava alla rondine il suo squittio, alla capinera il suo pianto, all’assiuolo il suo chiù, al contadino romagnolo il suo dialetto, al re Enzo la lingua del Duecento. Egli cercava la poesia delle cose e delle cose usava il linguaggio. Ai latini doveva dare il latino. Tema dell’Ultima linea è la morte, che non deve significare la fine di tutto. Perché dalla morte nasca la vita, bisogna che la vita si rinnovi continuamente, in vista di un mondo migliore. La fine dell’Impero Romano – sostiene il poeta romagnolo – non ha significato la fine della storia, perché, col cristianesimo, è iniziata una nuova era, in cui “morietur mors” (“morirà la stessa morte”). E in questa composizione Pascoli confermava il suo sostanziale cristianesimo senza fede.

 

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