La confessione di Armstrong: “Vincevo perchè mi dopavo”
Per anni è ‘passato’ come una vittima della sfortuna: un cancro ai testicoli diagnosticato nel 1996, e poi sconfitto nel 1998. A seguito di ciò, Lance Armstrong è diventato l’eroe che riesce a sconfiggere il male, un simbolo della lotta strenua contro la malattia. Viene fondata addirittura la ‘Lance Armstrong Foundation’, molto nota anche perché finanziata da una sua stessa idea, il braccialetto Livestrong. E tutti giù ad osannarlo, considerando anche le sue vittorie al Tour de France (7 affermazioni consecutive, dal 1999 al 2005). Poi, la vittoria in una tappa del Tour nel 1995, con dedica all’amico e compagno di squadra Fabio Casartelli, deceduto un paio di giorni prima. Insomma, un quadro perfetto di uno sportivo che aveva conquistato tutti. Ma, una mattina qualunque, del 18 gennaio 2013, la bomba, di quelle che non ti aspetti: Armstrong vinceva perché si dopava. Il corridore texano ha vuotato il sacco, durante un’intervista rilasciata a Oprah Winfrey. Ad inchiodarlo non i classici test, ma un’indagine condotta stile Fbi, dopo che la United States Anti Doping Agency (Usada) aveva cancellato dall’albo tutti i suoi titoli vinti, a partire dal 1998. L’Usada, infatti, aveva ‘pressato’ i compagni di squadra di Armstrong affinchè confessassero come utilizzavano l’Epo o come venivano tenuti al fresco i globuli rossi dopo un prelievo. Armstrong si dopava perché in un mondo come il ciclismo, fatto di tappe al limite della resistenza fisica, bisogna ricorrere ad ‘escamotage’ per mantenersi sempre sul pezzo. E’ successo con Pantani (anche se la sceneggiata del 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio rimarrà impressa nelle menti di tutti gli sportivi), con Riccò, con Rebellin, con Fuentes, con Contador,con Zülle, con Frigo, solo per citarne alcuni. C’è un dato che dovrebbe far riflettere: sono oltre 300 i ciclisti risultati dopati in seguito ai controlli compiuti negli ultimi dieci anni, dal 2000 al 10 febbraio 2010. E sono tutti nominati nell’Almanacco del ciclismo 2010, di Davide Cassani. Un numero agghiacciante, una testimonianza di una piaga contemporanea con la quale lo sport deve fare i conti.
Le parole di Lance Armstrong sono toccanti: “Ho dovuto fare uso di sostanze dopanti, altrimenti non avrei mai vinto 7 Tour. Non ho inventato io la cultura del doping, ma non ho nemmeno cercato di fermarla”. Il mix che utilizzava era composto da Epo, ormone della crescita, testosterone, doping ematico: praticamente, non si è fatto mancare niente. E come è riuscito a doparsi senza essere scoperto? Semplice, sceglieva bene le strategie di doping, adattandole ai tempi: l’Epo prima del 2000 (anno in cui iniziarono i test per l’eritropoietina) e, in seguito, le trasfusioni di sangue abbinate a iniezioni di soluzioni saline per abbassare l’ematocrito.
In barba alle confessioni fatte nel passato, quando negò di aver barato. “Ho visto i miei figli di 13 e 11 anni litigare per difendermi, e ho dovuto dirgli: lascia stare – continua Lance – Non difendere tuo padre, non difenderlo più perché quello che dicono contro di lui è la verità. Ora mi sento umiliato e pieno di vergogna. Non è un bel feeling. Sono pentito. Ho molti rimorsi, che crescono. So che questo per me è solo il primo passo. Mi sta aiutando uno psicologo. Ci ero già andato nel passato, ma solo sporadicamente. Forse un errore. Credo di essere ancora lo stesso Lance, è tutto troppo fresco. Mi occorrerà tempo”. L’ex moglie Kristin era l’unica a conoscenza delle ‘magagne’ del suo consorte, l’unica che gli pose l’aut aut sul suo ritorno alle gare nel 2009. Il primo che sollevò pubblicamente più di qualche dubbio sulla condotta del texano fu Filippo Simeoni; l’ex corridore reo confesso per uso di Epo, riferì di frequenti visite tra Armstrong e il dottor Ferrari. Ma anche Marco Pantani non riusciva a spiegarsi come un atleta, un corridore in questo caso, dopo aver contratto un tumore ai testicoli e, quindi, essersi sottoposto alle cure del caso, abbia potuto riprendere la sua bici da corsa come se nulla fosse. A distanza di oltre 10 anni, i dubbi del ‘Pirata’ sono fondati. Alle rivelazioni di Armstrong, gli addetti ai lavori hanno reagito, come era lecito aspettarsi, con un mix di imbarazzo e rabbia. Per Simeoni “bisogna cancellare chi fa male al ciclismo, in quegli anni era impossibile vincere senza doparsi”. Andy Schleck: “Ha confessato troppo tardi”. Olivier, team manager Lotto: “L’elefante ha partorito il topolino”. Paolo Savoldelli, gregario del texano nel 2005, nell’anno dell’ultimo Tour vinto: “Non sono convinto che Lance abbia vinto 7 Tour solo perché si dopava. Lo ha rovinato il fatto di incarnare il ‘sogno americano’. Era obbligato a vincere”. Ma c’è anche chi, come Andrea Peron, anche lui ex gregario di Lance ai tempi del team Motorola, ricorda una versione del suo compagno diversa da quella che è nata dopo le sue rivelazioni alla tv americana: “Il Lance che ho conosciuto era pulito”. In ultimo la confessione di un grande ex della due ruote, Greg Lemond, 3 volte vincitore del Tour de France: “Se Armstrong avesse dato a Floyd Landis e Tyler Hamilton lo stesso doping utilizzato per se stesso, non avrebbe mai vinto. Lo avrebbero battuto. Bisogna ringraziare Oprah Winfrey, le cui domande hanno mostrato a tutti il mancato pentimento di Lance Armstrong”.
Ed ora, proviamoci a mettere nei panni degli organizzatori, degli stessi corridori che, come Armstrong, puntavano a vincere la ‘Gran Boucle’: come ci si sente quando si apprende che uno dei tuoi avversari più temibili non vinceva grazie alla sue forze, ma era una farmacia ambulante? Ad Armstrong, che è stato spogliato di tutti e sette i titoli vinti al Tour del France, il Cio ha tolto anche la medaglia di bronzo della prova su strada di Sydney 2000. E’ la moneta minima che l’organo ha utilizzato per ‘spogliare’ Armstrong di titoli fasulli, vinti grazie all’ausilio di sostanze proibite. Perché il doping è uno degli aspetti più pericolosi e negativi legati al mondo dello sport; mina il concetto di sport come veicolo di valori positivi, sia fisicamente che psicologicamente. E’ fonte di problemi, paure e delusioni non solo per chi ne fa uso, ma anche per coloro i quali decidono di restare ‘puliti’, gente che ormai è paragonabile alla mosca bianca. Eticamente parlando, poi, equivale ad un imbroglio: è come ritenere di essere più veloce di un corridore perché si guida una moto.