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Cassano delle Murge: il paese dell’abbandono

A chi giunge a Cassano da varie direttrici è evidente, oltre alla sempre maggiore presenza di rifiuti di ogni specie, sia sui bordi delle strade, che nelle campagne, lo stato di abbandono di alcuni immobili privati che negli anni ’80-’90  molti baresi acquistarono per trascorrere i weekend ed il periodo estivo, alcune delle quali pignorate dalle banche, ma anche lo scempio di alcune strutture, abbandonate al degrado e vandalizzate, che mal si sposano con i principi di una buona economia che in questi periodi sarebbe opportuna vista la crisi globale che l’Italia vive.

Il Preventorio di Cassano delle Murge, di proprietà della Città metropolitana, è un caso di abbandono di un bene pubblico che dovrebbe suggerire agli Amministratori interventi più rapidi e risolutivi per quelle strutture che, altrimenti, sono destinate ad ugual sorte. Lo scempio, per la sua altezza e per la mancanza di altre strutture adiacenti, è visibile a chilometri di distanza, anche ai tanti che sono soliti raggiungere il piazzale del Convento di Cassano per ammirare il panorama dell’entroterra barese che, in giornate di cielo terso, consente di vedere anche il mare.

La struttura, sita a circa un chilometro dal centro abitato sulla via per Mellitto, fu inizialmente costruita per curare bambini malati di tubercolosi e per la prevenzione delle malattie respiratorie, tant’è che, non a caso, fu decisa la sua posizione proprio a ridosso della foresta di Mercadante, vero polmone nel risicato patrimonio boschivo dell’hinterland barese.

E’ composta da tre corpi di fabbrica: “il generale”, struttura più antica nella quale erano ubicati gli uffici e una cappella e chiamata così perché precedentemente fu la residenza di un Generale, una palazzina a quattro livelli con corridoi centrali e camere con affacci sulle campagne circostanti ed una palestra costruita nell’anno 1976.

La struttura fu acquistata dal Notaio Albenzio e successivamente dal Dott. Rubino che costruì il corpo di fabbrica centrale a più piani.

Nel 1967 fu acquistata dalla Provincia di Bari e convertita in Istituto Medico Psico Pedagogico con inaugurazione il primo marzo del 1967.

L’Istituto ospitava circa novanta ragazzi dai sette ai quattordici anni, minorati psichici dell’intera Provincia o figli illeggittimi o di famiglie disagiate che non tornavano quasi mai a trovarli.

Ai giovani ospiti veniva fornito tutto il necessario, dai vestiti ai materiali didattici, e trascorrevano la notte in dormitori con sei/otto letti, sempre sotto lo stretto controllo del personale che ne era responsabile.

Durante il giorno occupavano i “soggiorni” dove erano impegnati, oltre che con gli studi, in varie attività compresi alcuni lavori manuali, come la pittura, seguiti da educatrici e personale che si alternavano in turni diurni e notturni.

Negli ampi giardini, nei quali oggi si ha difficoltà a riconoscere il campo da calcio o da tennis, e in uno spazio ricreativo al piano rialzato, avevano possibilità di giocare e, dalle 17 alle 18, di vedere la televisione.

Oltre al personale a stretto contatto con i ragazzi, erano impiegati nella struttura il direttore (neurologo), addetti alla segreteria, un pediatra, un economo, una psicologa, gli addetti alla lavanderia, due cuochi per la mensa, un manutentore del locale caldaie e degli impianti ed il personale di pulizia dei piani.

Presenti nella struttura anche le suore che seguivano la lavanderia, la cucina e i dormitori, coordinate da una madre superiora.

Al compimento dei quattordici anni i ragazzi venivano trasferiti presso l’Istituto dei Padri Trinitari di Venosa che dal 1968 presta attività sanitarie di riabilitazione a persone affette da minorazioni fisiche, psichiche, sensoriali o miste dipendenti da qualunque causa e servizi socio-sanitari alle persone che hanno terminato il percorso riabilitativo e che, a causa della permanente disabilità fisica e/o mentale, in regime residenziale o semiresidenziale, continuo o diurno, non sono in grado di badare autonomamente alla propria persona e necessitano, quindi, di assistenza.

Nel 1978, con l’approvazione della Legge Basaglia, iniziò un periodo di transizione durante il quale il personale fu impegnato ad accompagnare i bambini nelle scuole pubbliche e nelle abitazioni delle rispettive famiglie nei weekend, per quei pochi fortunati che ne avevano una; terminato tale periodo, la struttura perse la sua funzione perché per tali patologie non erano più previste forme di supporto.

Il fine della Legge Basaglia era proprio quello di evitare che tali soggetti venissero “abbandonati” in Istituti nei quali si temeva venissero usati sistemi repressivi e coercitivi per tenere a bada i giovani a vantaggio, invece, di un inserimento nelle famiglie e nella società con l’integrazione scolastica. Un diritto, quello di frequentare le scuole pubbliche che, fino ad allora, era stato negato.

Dalla sua chiusura, la struttura ha subìto più incendi ed è stata depredata di tutto: letti, materassi, vestiti, scarpe, giocattoli e suppellettili vari, tranne quei documenti e quei vestiti usati che oggi testimoniano la presenza nel passato di quei ragazzi. Una delle ipotesi, forse la più valida, è che gli incendi e i danni siano stati arrecati per ridurre il valore dell’immobile da parte di possibili acquirenti.

Il 25 giugno del 2008, da uno dei piani dello stabile, si propagò ai piani superiori l’incendio che, più di altri, ha lasciato segni ben visibili anche da lontano.

Nel 2011 una ditta del nord Italia manifestò l’interesse ad acquisire la struttura ma, dopo aver correttamente valutato le spese necessarie a ristrutturare l’intero immobile, rinunciò all’acquisto.

A Marzo del 2018 alcuni fotografi, membri del Fotoclub Murgia, produssero un reportage fotografico, degno di una mostra “urbex”, della struttura lasciata in uno stato di completo abbandono fra ricordi di chi ci aveva vissuto e rifiuti depositati da ignoti e presenti in quantità tale da non concedere più l’accesso ai mezzi, anche a quelli che, in caso di incendio, avrebbero necessità di percorrere il viale principale di accesso. Fra cartelle cliniche, vecchie scatole di medicinali, quaderni impolverati e referti medici, l’interno della struttura, così come documentato dalle foto, appare surreale. Ma la testimonianza di quel passato è ancora viva in paese in chi, in quella struttura, ha lavorato o in chi, durante l’integrazione nelle scuole pubbliche, ha fatto da maestro a questi ragazzi molto provati e con forte senso di ribellione nei confronti della società e che, a volte, creavano forti legami affettivi con alcune figure maschili con le quali non erano soliti relazionarsi poiché nella struttura era presente, fra educatrici e suore, solo personale femminile. Fra i racconti ancora lucidi di una educatrice vi è anche quello di un ragazzo di Monopoli che, pensando di tuffarsi in mare, si lanciò verso una vetrata infrangendola. Ma i racconti, raccolti in paese, nelle cartelle cliniche presenti nell’Istituto o negli stessi quaderni, spesso agghiaccianti, meriterebbero uno spazio a sé.

Nella migliore delle ipotesi, la struttura, con cancelli semiaperti, protezioni divelte e muri sfondati, può essere stata vista come un vero e proprio set per l’ambientazione di riprese horror accessibile a chiunque, ma non si può escludere che sia stata più volte usata da alcuni senzatetto o da tossicodipendenti.

A distanza di un mese dalla raccolta di quel materiale fotografico, due assessori comunali precisarono, durante un tavolo tecnico sull’ambiente successivo alla pubblicazione di alcuni articoli sull’abbandono di questa struttura, di aver provveduto a far bonificare la zona e a far chiudere ogni possibile accesso. Sin da subito, però, la situazione nell’area recintata apparve invariata, se non per una catena posizionata a parziale chiusura di un cancello principale ormai logorato dal tempo.

Possibile che oggi si possa accettare che quell’area a ridosso del “polmone verde” della provincia barese si sia trasformato da sito per la prevenzione delle malattie respiratorie a discarica di rifiuti, anche tossici, o luogo di gioco di giovanissimi cassanesi che, sfidando le dicerie che lo descrivono come un rifugio di Satana, vedono in quella struttura un luogo di gioco dove misurare il loro coraggio?

E’ destinata a stessa sorte la struttura, di proprietà della Società di Investimenti “Fabrica Immobiliare”, una delle principali Società di gestione del risparmio immobiliare in Italia che, fino a pochi mesi fa, nei suoi tre corpi di fabbrica realizzati in periodi diversi a partire dagli anni ’70 e con una superficie commerciale lorda complessiva pari a circa 10.000 mq, ha ospitato l’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico “Maugeri”?

E del “Villaggio del Fanciullo”, opera costruita con grandi sacrifici da Don Battista per ospitare giovanissimi orfani, successivamente donata all'”Istituto Maugeri” perché ne facesse un luogo di cura e di degenza per malattie croniche per bambini, progetto poi abbandonato a causa dei tagli del piano sanitario nazionale, successivamente sottoposto a sequestro a ristoro dei debiti contratti da Maugeri, quindi nella disponibilità dei beni sequestrati dallo Stato, poi individuato come possibile scuola nazionale per Guardie Forestali ed ora patrimonio dello Stato, cosa ne sarà?

E, ancora, dell’ex “SoleBlù”, grande attrattore dei villeggianti nei vari residence cassanesi, di proprietà di una società altamurana il cui amministratore unico nel 2015 è stato deferito all’Autorità Giudiziaria per gestione illecita di rifiuti, combustione di rifiuti, distruzione di habitat naturale, violazioni della normativa paesaggistica, nazionale e regionale e inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, come mai non ha avuto seguito nessuna della soluzioni proposte dai candidati sindaci intervenuti all’evento associativo “Diamo voce a chi non vota: la Murgia!” organizzato dall’associazione culturale Murgia Enjoy prima delle ultime votazioni comunali manifestando interesse per la problematica?

Ma l’elenco, purtroppo, potrebbe continuare con strutture, quale l’ex-Camping “Orsa Maggiore” che si presenta come una grande discarica a cielo aperto agli occhi di chi raggiunge la Foresta di Mercadante e indegno biglietto da visita per il Parco Nazionale dell’Alta Murgia o il “Garden Village”, complesso di ville mai terminate ed in passato confiscate per lottizzazione abusiva, che deturpano un territorio per il quale, evidentemente, poco si fa vanificando l’impegno dei soci Murgia Enjoy che per anni hanno tentato di promuoverlo e valorizzarlo anche combattendo contro l’indifferenza di chi dovrebbe, invece, sostenerli.

Dov’é l’amore per il proprio territorio dei cittadini che accettano che di Cassano si parli come un paese impresentabile, indecoroso, disseminato di rifiuti, abbandonato all’incuria, piuttosto che delle bellezze naturalistiche, ambientali e paesaggistiche che potrebbero rappresentare un forte attrattore di visitatori?

Possibile che nessuno comprenda che tali strutture, alcune oggi facenti parte del patrimonio pubblico, davano lavoro non solo a chi ci lavorava internamente, ma anche a tutta una serie di attività commerciali e che l’intera comunità locale può trarre profitto dalla loro presenza, una volta rivalutate? E queste migliaia di metri quadri di strutture non potevano e non possono essere convertite in strutture d’eccellenza di cui tanto ha bisogno la nostra Regione ed il nostro Sud?

Leonardo Losito – Murgia Enjoy

Foto: ©Fotoclub Murgia 2018

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