Dal miracolo riabilitativo alla prima comunione
Sarà la Cappellina Santa Maria Bambina dell’Opera Don Uva di Foggia ad ospitare la cerimonia della prima comunione di Francesco Pio Ricciuto, 11 anni, protagonista di una storia che ha dell’incredibile. Francesco, affetto dalla sindrome di Pierre Robin, che comporta grave disabilità motoria e psichica, è la testimonianza di come la fisioterapia, unita ad una grandissima forza di volontà e all’amore incondizionato di una mamma possano compiere dei piccoli miracoli terreni.
La cerimonia sarà officiata giovedì 24 aprile prossimo da don Rosario De Rosa, responsabile della pastorale sanitaria diocesana e cappellano dell’Opera Don Uva di Foggia, in una cerimonia organizzata dalla Congregazione delle Ancelle della Divina Provvidenza. Presenti alla cerimonia anche i responsabili delle associazioni della Protezione Civile ‘Paser’ di Manfredonia e ‘Falchi’ di Foggia. A Francesco, appena nato, erano stati pronosticati pochi giorni di vita. Invece lui, in cura presso il Centro di Riabilitazione Polivalente Don Uva del capoluogo dauno sin dall’ottavo mese, ora riceverà la prima comunione. Una notizia che rende merito, anche, alla riconosciuta efficacia dei programmi riabilitativi, assistenziali e curativi dell’Ospedale Don Uva e alle rilevanti professionalità che operano nella struttura, punto di riferimento sul territorio da oltre novant’anni.
Francesco, dopo un complicatissimo processo riabilitativo, ora cammina regolarmente ed è in grado di condurre una vita socialmente più che valida, pur con tutte le limitazioni del caso per un minore con gravi disabilità psico-motorie. Fondamentale per lui l’apporto di sua mamma Sarah, che non si è mai arresa alle difficolta enormi che la sindrome comporta ed ha supportato e supporta tuttora le grandi sfide che giornalmente suo figlio Francesco deve affrontare e vincere. “Questo è un giorno meraviglioso per Checco – dice Sara – e vorrei che fosse un giorno da ricordare per tutte quelle che mamme che come me devono superare montagne insormontabili. Il sorriso di mio figlio mi spinge a credere che non ci si debba mai arrendere e che se è vero che lui, io e la sua famiglia non avremo mai una vita normale, è pur vero che una vita è comunque possibile. Ed è una vita bellissima, perché io non vorrei nessun altro figlio se non Francesco, pur con la sua esistenza così complicata. Tutto questo è stato reso reale anche grazie al Don Uva, alle sue mille risorse, alle sue fisioterapiste, ai medici, agli infermieri e a tutto il personale”.