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Economia e Finanza: smart working

Continua la rubrica, legata all’economia e settori correlati.

Oggi vorrei parlare di un fenomeno comportamentale ed operativo nato ed esploso grazie o per colpa della pandemia Covid-19: lo smart working come meglio ribattezzato “lavoro agile”.

A partire dall’8 marzo 2020, in esecuzione al DPCM è stata introdotta questa nuova forma di lavoro. Chiaramente, come ci contraddistingue il nostro modo italiano di operare, senza alcuna programmazione e riconsiderando processi di lavoro già esistenti e già sperimentati, quali il telelavoro ed altri. Ma cosa è il “lavoro agile”, come si applica, a chi si rivolge, quali risultati offre e cosa può determinare nel tempo.

Procediamo con ordine. Lo smart working o lavoro agile è quel processo lavorativo che può essere svolto in remoto, presso una struttura diversa dalla sede di lavoro, e consentendo lo svolgimento anche presso la propria abitazione. Fenomeno sviluppatosi nei paesi anglosassoni, dove vi sono soluzioni aperte alle situazioni in presenza rapportate al raggiungimento dei risultati. Anzi, la possibilità di aggregare più figure professionali per l’analisi, lo sviluppo e la realizzazione di progetti di vasta scala, ha consentito lo sviluppo di concetti quali, riunioni di gruppo, feedback, condivisione di progetti. Proprio l’ottimizzazione delle risorse umane disponibili, oltreché il raggiungimento di progetti di vasto interesse, ha portato sempre più all’aumento di queste tipologie di lavori.

Oggi, ritengo impropriamente, il Governo ha voluto con questo intervento salvaguardare il dipendente dalla possibilità di contagio da Covid-19, cercando di garantire lo svolgimento dei servizi ordinari e ricorrendo ad utilizzo di un limitato numero di persone per il mantenimento dei servizi essenziali.

Perché ritengo che il Governo abbia utilizzato impropriamente questo processo di lavoro?

Per una serie di riflessioni. Lo smart working consente al personale dipendente di svolgere il proprio lavoro in situazioni diverse da quelle normalmente previste (sede di lavoro vs propria abitazione), in condizioni diverse (in locale vs attività da remoto) e con supporto differente (terminale ufficio/periferiche vs disponibilità personale). Questo l’aspetto più evidente, ma consideriamo anche altri aspetti, di importanza essenziale: l’efficacia del lavoro svolto in smart working, l’efficienza, la tempestività, il grado di soddisfazione del richiedente il servizio, il grado di soddisfazione del nostro operatore. Occorre poi verificare il grado di digitalizzazione dell’ente, dell’impresa, il livello di connessione, la disponibilità di mezzi informatici a supporto dell’attività lavorativa.

Va da se che coloro a cui è rivolto questo processo produttivo, operativo, sono sicuramente gli enti pubblici e le imprese medio grandi, con una buona organizzazione. Basti pensare che il territorio italiano presenta ancora grosse differenze in termini di connessione alle reti infrastrutturali e telematiche, pertanto evidenziando grossi problemi tecnici e procedurali. Per cui enti pubblici, distribuiti territorialmente in modo da coprire tutta la nostra penisola, hanno differenze di velocità e connessione, pur avendo una centralizzazione dei servizi essenziali. A questo aggiungiamo le difficoltà d’accesso alle strutture locali, molte volte impossibilitate all’accesso dall’esterno per motivi connessi alla sicurezza, privacy ed altro.

Ho toccato con mano l’organizzazione di enti pubblici e di imprese private, è ho rilevato un buon utilizzo dello smart working da parte del settore privato, anche se minimizzato per l’utilizzo in campo commerciale e di contatti, con una buona disponibilità di mezzi informatici e strutturali. Viceversa, nel pubblico questo processo lavorativo è stato massimizzato, senza ragione e senza i dovuti mezzi informatici. Per intenderci si è favorita la non presenza del dipendente pubblico presso il posto di lavoro, consentendo lo svolgimento dell’orario di lavoro presso l’abitazione del dipendente senza garantire il raggiungimento di risultati.

Non voglio dire che tutto questo abbia un colpevole, o rinvangare le solite valutazioni sull’assenteismo dei dipendenti pubblici, o sulle lentezze del processo amministrativo, ma è evidente che in termini di risultati non si siano raggiunti quei livelli richiesti. La responsabilità và sicuramente cercata nella carenza di strumenti informatici, gestionali della Pubblica Amministrazione. Nell’arretratezza del processo di digitalizzazione della stessa, che consentirebbe una maggiore e precisa analisi dei processi amministrativi e documentali. In questo le imprese più organizzate hanno da tempo ricorso a soluzioni innovative, dietro la spinta della Pubblica Amministrazione.

Occorre comunque distinguere tra Pubblica Amministrazione ed Enti Pubblici e Enti Locali. Il livello di efficienza della Pubblica Amministrazione ha consentito di aver digitalizzato una corposa massa documentale, a decorrere da una certa data. In effetti l’utilizzo di processi digitalizzati nella Pubblica Amministrazione copre un ventennio, mentre gli Enti Pubblici hanno gradualmente informatizzato le proprie strutture consentendo oggi di essere abbastanza organizzati. Il problema resta negli enti pubblici, che vedono con difficoltà il raggiungimento di questa efficienza organizzativa, informatica e gestionale.

Il ricorso a processi informatici generalizzati ha consentito di migliorare l’efficientamento dei processi amministrativi negli Enti Locali, ma molte volte slegati tra loro, non in grado di colloquiare tra loro e quindi da richiedere molte volte l’utilizzo di personale dipendente in presenza. Con aggravio di tempi, minor affidabilità nelle banche dati, e quindi che si traduce in una mancata efficienza dell’ente.

Nel campo economico-finanziario, forti dell’esigenza del Governo Centrale di conoscere in tempi rapidi la situazione finanziaria dell’ente locale, sono stati messi in essere una serie di obblighi formali per la redazione di bilanci e rendiconti confrontabili e letti in maniera univoca. Questo consente di poter, senza ombra di dubbio, poter dire che lo smart working può essere esercitato senza difficoltà alcuna. Negli altri settori dell’ente locale, il ricorso a materiale non digitalizzato, rallenta notevolmente quel processo virtuoso che consentirebbe di aver una digitalizzazione tout-court e rappresenterebbe una spinta di efficientamento dell’ente.

La mia riflessione è come vedete ben argomentata, e non lascia spazio ad altre valutazioni.

Resta una mia personale valutazione, come lo smart working sia stato usato impropriamente, o quantomeno resosi necessario prematuramente.

Questo per una serie di evidenti ragioni e differenze:

  • Differenze tra pubblico e privato;
  • Disponibilità di risorse informatiche;
  • Prettamente utilizzabile per attività amministrative e contabili, oltrechè commerciali;
  • L’attività manuale è ancora molto ricorrente, per cui la soluzione all’emergenza Covid-19 può consentire lo svolgimento della stessa, con la turnazione dei dipendenti e il ricorso ai dispositivi di protezione individuali (DPI), mettendo in campo norme e procedure di salvaguardia dell’igiene;
  • Arretratezza dei sistemi gestionali degli enti Locali, carenze di personale qualificato nell’utilizzo delle nuove procedure gestionali, carenza di formazione all’utilizzo delle stesse.
  • Una maggiore presenza di organismi di formazione, di valutazione e ricorso a fondi da destinare alla digitalizzazione ed informatizzazione dell’ente locale, saranno un buon propulsore all’efficientamento dello stesso e al ricorso allo smart working.

 

Le risorse che l’Europa metterà a disposizione, si parla di 172 miliardi di euro, DOVRANNO essere spesi nell’efficientamento della pubblica amministrazione, nell’adozione di sistemi gestionali maggiormente integrati e diffusi, nell’adozione di processi più semplificati e in pagamenti più rapidi.

L’efficientamento dei controlli, trattandosi di procedure informatiche e gestionali, porteranno ad un efficientamento complessivo della Pubblica Amministrazione, a minori tempi d’attesa e maggior trasparenza degli atti. Dati confrontabili e risultati programmati ed attesi, evidenzieranno la maggiore organizzazione degli enti, che andranno premiati dal Governo Centrale. Tutto questo potrà giustificare il ricorso allo smart working, mentre oggi lo vedo una soluzione improvida e inefficace al mantenimento dell’attività programmata.

Natale Lucarella

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