Educazione di Genere: In risposta ad Aurelio Pace
Bisogna sgombrare il campo da ogni equivoco è forse improbabile, bisognerebbe addirittura partire dall’affermare che, semplicemente, la teoria del gender non esiste. Vorrei spiegare al Consigliere Pace che ha mosso una mozione in Consiglio Regionale parlando di “teoria del Gender” esistono solo i “gender studies”, una cosa completamente diversa ed esistono studi sociologici ormai molto avanzati che, pur non mettendo mai in discussione la differenza biologica tra maschio e femmina (il che sarebbe piuttosto stupido), dimostrano come le società abbiano costruito nel tempo ruoli per l’uomo e ruoli per la donna, ma come questi siano mutevoli e assoggettati ai cambiamenti della società, certo non iscritti nel nostro Dna. È una trovata propagandistica che distorce gli studi di genere. Si salvi chi può da coloro che, per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, vogliono colonizzare le menti di bambini e bambine con una visione antropologica distorta, con un’azione di indottrinamento gender. Che si parli di educazione all’effettività, educazione sessuale, omofobia, superamento degli stereotipi, relazione tra i generi o cose simili, tutto secondo loro concorre a un unico scopo: l’indottrinamento. La teoria del gender non esiste. Nessuno, in ambito accademico, parla di teoria del gender. È infatti un’espressione usata dai cattolici (più conservatori) e dalla destra più reazionaria per gridare “a lupo a lupo” e creare consenso intorno a posizioni sessiste e omofobe. Secondo gli ideatori dell’espressione teoria/ideologia del genere, nasciamo maschi o femmine. Punto. Il sesso biologico è l’unica cosa che conta. L’identità sessuale non si crea, ma si riceve. Il genere è un costrutto socioculturale: in altre parole sono fattori non biologici a modellare il nostro sviluppo come uomini e donne e a incasellarci in determinati ruoli (di genere) ritenuti consoni all’essere femminile e maschile. Ed infine, educare al genere significa, in fondo, sostenere la crescita psicologica, fisica, sessuale e relazionale, affinché i bambini e le bambine di oggi possano progettare il proprio futuro al di là delle aspettative sulla mascolinità e la femminilità. E la scuola può (deve) avere un ruolo fondamentale per scalfire gli stereotipi di genere, ancora fin troppo radicati nella nostra società, offrendo a studenti e studentesse gli strumenti utili e necessari per diventare gli uomini e le donne che desiderano. Educare al genere significa dunque interrogarsi sul modo in cui le varie culture hanno costruito il ruolo sociale della donna e dell’uomo a partire dalle caratteristiche biologiche (genitali). Contrastare quegli stereotipi e quei luoghi comuni, socialmente condivisi, che finiscono col determinare opportunità e destini diversi a seconda del colore del fiocco (rosa o azzurro) che annuncia al mondo la nostra nascita. Trasmettere ai bambini e alle bambine, attraverso alcune attività ludico-didattiche, il valore delle pari opportunità e abbattere tutti quegli stereotipi che, fin dalla più tenera età, imprigionano maschi e femmine in ruoli predefiniti, granitici, e sono alla base di molte discriminazioni. Mi auspico che l’intero Consiglio Regionale possa riflettere sull’importanza reale dell’educazione di genere che combatte stereotipi sessuali, pregiudizi, sviluppa consapevolezza dei condizionamenti storico-culturali che riceviamo, serve anche a prevenire comportamenti violenti e a porre le basi per una società più civile.
Valentina Garripoli – Commissaria Regionale Per le Pari Opportunità