“Generare la vita è generare futuro”
« I figli sono la pupilla dei nostri occhi… Che ne sarà di noi se non ci prendiamo cura dei no¬stri occhi? Come potremo andare avan¬ti? ». Così Papa Francesco all’apertura del¬la XXVIII Giornata Mondiale della Gio¬ventù ha illuminato ed esortato tutti al¬la custodia della vita, ricordando che ge¬nerare ha in sé il germe del futuro. Il fi¬glio si protende verso il domani fin dal grembo materno, accompagnato dalla scelta provvida e consapevole di un uo¬mo e di una donna che si fanno collabo¬ratori del Creatore. La nascita spalanca l’orizzonte verso passi ulteriori che dise¬gneranno il suo futuro, quello dei suoi genitori e della società che lo circonda, nella quale egli è chiamato ad offrire un contributo originale. Questo percorso mette in evidenza «il nesso stretto tra e¬ducare e generare: la relazione educati¬va si innesta nell’atto generativo e nell’e¬sperienza dell’essere figli», nella consa¬pevolezza che «il bambino impara a vi¬vere guardando ai genitori e agli adulti». Ogni figlio è volto del «Signore amante della vita» (Sap 11,26), dono per la fami¬glia e per la società. Generare la vita è ge¬nerare il futuro anche e soprattutto oggi, nel tempo della crisi; da essa si può usci¬re mettendo i genitori nella condizione di realizzare le loro scelte e i loro progetti.
La testimonianza di giovani sposi e i da¬ti che emergono da inchieste recenti in¬dicano ancora un grande desiderio di ge¬nerare, che resta mortificato per la ca¬renza di adeguate politiche familiari, per la pressione fiscale e una cultura diffi¬dente verso la vita. Favorire questa aspi¬razione (valutata nella percentuale di 2,2 figli per donna sull’attuale 1,3 di tasso di natalità) porterebbe a invertire la ten¬denza negativa della natalità, e soprat¬tutto ad arricchirci del contributo unico dei figli, autentico bene sociale oltre che segno fecondo dell’amore sponsale.
La società tutta è chiamata a interrogar¬si e a decidere quale modello di civiltà e quale cultura intende promuovere, a co¬minciare da quella palestra decisiva per le nuove generazioni che è la scuola.
Per porre i mattoni del futuro siamo sol¬lecitati ad andare verso le periferie esi¬stenziali della società, sostenendo don-ne, uomini e comunità che si impegnino, come afferma Papa Francesco, per un’au¬tentica “cultura dell’incontro”. Educan¬do al dialogo tra le generazioni potremo unire in modo fecondo la speranza e le fa¬tiche dei giovani con la saggezza, l’espe¬rienza di vita e la tenacia degli anziani.
La cultura dell’incontro è indispensabi¬le per coltivare il valore della vita in tut¬te le sue fasi: dal concepimento alla na-scita, educando e rigenerando di giorno in giorno, accompagnando la crescita verso l’età adulta e anziana fino al suo naturale termine, e superare così la cul¬tura dello “scarto”. Si tratta di accogliere con stupore la vita, il mistero che la abi¬ta, la sua forza sorgiva, come realtà che sorregge tutte le altre, che è data e si im¬pone da sé e pertanto non può essere soggetta all’arbitrio dell’uomo.
L’alleanza per la vita è capace di suscita¬re ancora autentico progresso per la no¬stra società, anche da un punto di vista materiale. Infatti il ricorso all’aborto pri¬va ogni anno il nostro Paese anche del¬l’apporto prezioso di tanti nuovi uomini e donne. Se lamentiamo l’emorragia di energie positive che vive il nostro Paese con l’emigrazione forzata di persone – spesso giovani – dotate di preparazione e professionalità eccellenti, dobbiamo ancor più deplorare il mancato contri¬buto di coloro ai quali è stato impedito di nascere. Ancora oggi, nascere non è una prospettiva sicura per chi ha ricevuto, con il concepimento, il dono della vita. È dav¬vero preoccupante considerare come in Italia l’aspettativa di vita media di un es¬sere umano cali vistosamente se lo con¬sideriamo non alla nascita, ma al conce-pimento.
La nostra società ha bisogno oggi di so¬lidarietà rinnovata, di uomini e donne che la abitino con responsabilità e siano messi in condizione di svolgere il loro compito di padri e madri, impegnati a superare l’attuale crisi demografica e, con essa, tutte le forme di esclusione. U¬na esclusione che tocca in particolare chi è ammalato e anziano, magari con il ricorso a forme mascherate di eutana¬sia. Vengono meno così il senso dell’u¬mano e la capacità del farsi carico che stanno a fondamento della società. «È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che so¬no più fragili e che spesso sono nella pe¬riferia del nostro cuore. È l’aver cura l’u¬no dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori».
Come un giorno si è stati accolti e ac¬compagnati alla vita dai genitori, che ren¬dono presente la più ampia comunità u-mana, così nella fase finale la famiglia e la comunità umana accompagnano chi è «rivestito di debolezza» (Eb 5,2), amma¬¬lato, anziano, non autosufficiente, non solo restituendo quanto dovuto, ma fa¬cendo unità attorno alla persona ora fra¬gile, bisognosa, affidata alle cure e alle mani provvide degli altri.
Generare futuro è tenere ben ferma e al¬ta questa relazione di amore e di soste¬gno, indispensabile per prospettare u-na comunità umana ancora unita e in crescita, consapevoli che « un popolo che non si prende cura degli anziani e dei bambini e dei giovani non ha futu¬ro, perché maltratta la memoria e la pro¬messa ».
Il Consiglio permanente della Confe¬renza episcopale italiana