Gli inquinanti emessi dalla Centrale Enel di Brindisi provocano 44 decessi l’anno
Fino a 44 decessi l’anno nella zona di Brindisi,Taranto e Lecce sono ascrivibili agli inquinanti emessi dalla Centrale Enel termoelettrica a carbone di Cerano. E’ quanto riportato nello studio dei ricercatori Cristina Mangia, Marco Cervino ed Emilio Gianicolo del Cnr di Lecce e Bologna; lo studio evidenzia il ruolo cruciale per la salute del particolato secondario emesso. Ma l’Enel non ci sta, e riferendosi ad uno studio Arpa Puglia-Asl-Ares, definisce “fuorviante” tale dato: “Non c’è pericolo per la salute”, è il commento.
La centrale termoelettrica situata a Cerano (Brindisi) ha una potenza elettrica di 2.640 MW, ed è alimentata annualmente con circa 6 milioni di tonnellate di polvere di carbone. Questa potenza di produzione pone l’impianto in cima alle classifiche dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) per emissioni di sostanze inquinanti. La centrale brindisina è entrata in funzione nei primi anni ’90; come anno di studio è stato considerato il 2006, anno intermedio del periodo totale di funzionamento.
“L’aerea geografica di riferimento è rappresentata da 120 comuni delle province di Brindisi, Lecce e Taranto. – ha spiegato il ricercatore Emilio Gianicolo – Si tratta di un’area con una popolazione di circa 1 milione e 200 mila persone residenti. Nel 2006 sono stati 10.267 i decessi totali in questa area considerata. Di questi, fino ad un massimo di 44 (ovvero 4 per 100mila abitanti) sono attribuibili alle emissioni inquinanti della Centrale di Cerano, e cioè al particolato primario ma anche al particolato secondario. Le zone a sud-est della centrale sono, in media in un anno, quelle più esposte alle emissioni della centrale”.
Gli effetti nocivi, stando ai dati dei ricercatori, sono quindi amplificati proprio dal cosiddetto ‘particolato secondario’ (che si forma in atmosfera per effetto di reazioni chimiche fra ossidi di azoto e ossidi di zolfo, emessi dalla Centrale, con altre sostanze presenti nell’atmosfera stessa). L’area popolata interessata dalla persistenza di particolato secondario è infatti molto più vasta di quella interessata dal particolato primario. È stato osservato, ad esempio, che il particolato primario ha il suo massimo di concentrazione ad una distanza di circa sei chilometri dalla centrale. Al contrario, le diverse stime per il particolato secondario prevedono che il massimo di concentrazione giunga ad una distanza tra i dieci e i trenta chilometri dalla stessa centrale.