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Il messaggio di Monsignor Castoro in occasione del Natale

Questo il testo integrale del discorso di Monsignor Filippo Castoro, Arcivescovo di Taranto
” È il santo Natale del 2014 – dichiara l’arcivescovo di Taranto – e vorrei giungesse a tutti l’augurio cristiano per eccellenza, cioè quello che attesta la presenza di Dio in mezzo agli uomini. Non vi auguro una felicità generica, né tantomeno una serenità che dovrebbe accadere in chissà quale tempo indefinito e in circostanze fumose. Vi auguro di accorgervi di ciò che è già accaduto e cioè che «un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5). È già accaduto. Non brancoliamo nel buio, perché il Signore è venuto a visitare «chi giace nelle tenebre e nell’ombra della morte» (cfr Lc 1,79). Non è più un sogno dei vati (un sogno dei profeti) come amiamo cantare in una delle più belle nenie natalizie, ma è chiaro e compiuto come un «amen», come un «sì» (2Cor 1,20).
La forza dei cristiani germina dal di dentro dalla nostra natura redenta dal battesimo; un dono anch’esso non relegato negli eventi della nostra infanzia, ma una fontana zampillante per sempre. Ben vengano le feste, i doni e le luci, purché ci parlino di Gesù, vengano a raccontarci il mistero del grande dono che Dio ci ha fatto. Lasciamo che il nostro cuore si allarghi a dismisura scandendo l’incursione della misericordia nel mondo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Propaghi dalla grotta di Betlemme il fascino cristiano fatto del grande silenzio di Dio, della sua povertà, della sua amicizia, del suo bene. In una grotta di periferia, in un luogo scartato dagli uomini sfolgora la redenzione. Chiediamo a Gesù bambino di darci il suo sguardo, che vede in quello che gli uomini scartano i capolavori della salvezza. Noi non dobbiamo fare altro che annunciare agli uomini (è la nostra missione!) che Dio è nato e vagisce come figlio di uomo. Da sé questo annuncio attrae, attira (è il mistero dell’attrazione!). Ho celebrato nell’antivigilia all’ospedale Nord, san Giuseppe Moscati e dopo ho visitato il reparto dei sieropositivi. Che gratitudine nei loro occhi e, nel dolore, una speranza nei loro cuori.
Sono da più di quarant’anni sacerdote e da più di vent’anni vescovo, – e da tre anni qui a Taranto -, e non ho ancora incontrato nessuno al quale si porti lo sguardo di Cristo che vi rimanga indifferente, che non senta un moto interiore perché ogni creatura vuol sentire la vicinanza del suo creatore! Chissà però quanti Natale abbiamo vissuto nel vicolo cieco del pensiero ossessivo di noi stessi, del chiuso delle quattro mura domestiche. Quali sono stati in Natale più tristi? Quelli vissuti senza la gioia della condivisione. La nostra stella cometa sia la carità, che è innanzitutto l’amore immenso di Dio e poi il volgersi verso gli altri. Perché è Natale negli spazi aperti, nel campo dei pastori, nel cielo illuminato a giorno dagli angeli, nelle vie misteriose dei magi che cercano, sperano e arrivano alla loro mèta. Non è Natale per chi spranga le porte e manda oltre Giuseppe e Maria perché non vi è posto per loro nell’albergo (cfr Lc 2).
Il Natale è incarnazione! Per questo il santo giorno non è una parentesi che ci narcotizza dai problemi molto seri che viviamo, che oggi costituiscono la paglia ispida sulla quale Maria adagia il bambinello; che è in mezzo a noi in tutte le questioni aperte che non occultiamo per il 25 dicembre, ma che con umiltà poniamo dinanzi alla mangiatoia.
È innegabile che su tanti fronti abbiamo un grande bisogno di passare definitivamente dalle parole ai fatti. Leggo in maniera positiva, ad esempio, che il Governo adesso è molto più orientato a guardare i bambini di Taranto, a prendersi in carico l’Ilva, risanarla, rilanciarla e poi, concluso questo importante lavoro, cederla ai privati. Vorrei che non si perdesse mai di vista la minaccia ambientale e i pericoli per la salute.
Negli ultimi due anni siamo passati da un sentimento di rivalsa e di rabbia ad uno di scoramento e rassegnazione. Ovunque io vada, la gente mi parla dei problemi del lavoro che non c’è, delle malattie, del futuro dei giovani sempre più incerto. Paure legittime, non c’è dubbio, ma non possiamo farci imprigionare da un sentimento negativo e pensare che non ci sia alternativa al declino e alla disfatta. È non è la circostanza delle feste natalizie che mi spinge a parole di conforto, ma l’esperienza personale dell’incontro quasi quotidiano incontro i giovani, che vedo numerosi nelle scuole. Noto da parte loro un grande interesse se si parla di valori fondamentali come la solidarietà, l’accoglienza, la vita degna, l’apertura verso gli altri, la tutela dell’ambiente. Senza tralasciare il desiderio dell’ Infinito. Questi incontri mi danno la percezione di una comunità viva, ferita sì dai tanti problemi, ma non definitivamente abbattuta, né sconfitta per sempre. La nostra Città – come tutta l’Italia e l’Europa – è stanca perché tanti, troppi torti ha accumulato nel tempo, ma ha in serbo ancora delle energie. Possiede ancora della vitalità. E c’è un solo modo perché la sfiducia non avanzi: si diano risposte alla nostra terra, e si diano in modo chiaro e convincente, dimostrando che si rispetta anche la salute di tutti e che si tutela il lavoro, ma soprattutto ci si metta all’ascolto della città, avvicinandosi alla gente.
Ho deciso di celebrare la messa della vigilia notte di Natale in cattedrale, in Taranto vecchia, perché desidero fortemente che tutti guardiamo alla chiesa madre della nostra diocesi, da lì, da questo cuore tarantino bello e ferito, simbolo per me del bisogno di risorgere di tutto il capoluogo ionico, che voglio benedire ciascuno, soprattutto chi non spera più. Per questo la mattina di Natale celebrerò nella Casa Circondariale. La tenerezza del Figlio di Dio che bambino si fa prendere in braccio scaldi ogni freddo, ogni solitudine e vinca ogni scoraggiamento perché il Signore ha scelto proprio noi per sua dimora (Cfr. Sal 131)!
Buon Natale a tutti.
+ don Filippo, arcivescovo”

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