Il messaggio di Monsignor Pelvi per l’inizio dell’anno scolastico
Carissimi,
inizia l’anno scolastico. Come sempre, oltre che per gli alunni, la campanella suona per il personale docente e non, le famiglie, le istituzioni, i cittadini. La scuola siamo tutti noi. A nessuno sfugge che ragazzi e giovani sono inondati da informazioni, attrazioni,
conoscenze, per cui si respira una sensibilità esplosiva, senza il controllo delle emozioni e l’attenzione a se stessi. Tutto si percepisce allo stesso livello e passa subito: il creato, la guerra, la moda, lo sport. L’altro viene inteso più come “contatto digitale” che persona. Penso alla messaggistica esasperante che è confusa con la comunicazione interpersonale dove l’esaltazione dell’io allontana il noi, sino a rinchiudere ciascuno nel suo mondo virtuale. Di qui quella precarietà scelta dalle nuove generazioni: l’onnipotenza infantile si sente sfidata e non vuole perdere nulla, per restare, paradossalmente, senza nulla.
Vige, talvolta, un certo spontaneismo educativo, comprensibile reazione all’autoritarismo del passato. Ne consegue la crescita di persone prive di autocontrollo, di criteri di giudizio e senso della vita come progetto, soprattutto senza capacità di relazione, ancor più quando non si impara a rispettare gli altri, perché non si riconosce una minima coscienza di sé. Uno scenario che si fa più grave quando si dà spazio all’uso sregolato di cellulari e social, per non parlare di imprese da incoscienti, risultato di un’istintualità senza raziocinio né coscienza. Sarebbe un errore pensare che i fenomeni estremi di cui parlano le cronache siano casi isolati, prodotto di ambienti sociali e urbani degradati. Questi aspetti di degrado possono aggravarlo, ma il fenomeno è effetto di una cultura di massa di cui sono vittime potenzialmente tutte le famiglie, quando ci sono ancora, e in qualche misura tutti noi.
Cultura, invece, è senso della dignità di sé e degli altri, capacità di stare in relazione con rispetto e attenzione, disponibilità all’incontro e alla collaborazione. Cultura è capire che la vita non è consumo e divertimento, buttare il tempo e spassarsela: questo è sprecare la vita. E molti, senza accorgersene, hanno e trasmettono questa filosofia di vita, per cui ciò che conta è approfittare di tutto e di tutti senza rispettare niente e nessuno. Ciò è non solo ignoranza, rozzezza e volgarità ma disprezzo della proprie e altrui dignità umana. Purtroppo, l’idea di educazione è sfidata dall’individualismo, che promuove l’indifferenza, sminuendo l’impegno della partecipazione e solidarietà. Questo è in particolare la missione di docenti e famiglie. L’educazione è relazione tra docente, famiglie e studente, che si aprono alla realtà, scoprendo, ponendo domande e cercando insieme risposte. La scuola è comunità senza paura, perché scommette sul futuro vincendo la naturale spinta che nasce da tante preoccupazioni che rischiano di immobilizzarci in un eterno e illusorio presente.
La scuola siamo tutti noi. Ciascuno contribuisce alla sua vita e al suo clima morale in bene o in male. Nel cuore di ciascuno passa il confine tra il bene e il male e nessuno deve sentirsi in diritto di giudicare gli altri, ma piuttosto ciascuno deve avvertire il dovere di
migliorare se stesso. A scuola non ci sono spettatori ma attori responsabili che risvegliano l’esercizio della gentilezza nei rapporti interpersonali. La persona che possiede questa qualità rende la sua e l’esistenza degli altri più amabile. Educhiamoci a trattare gli altri con la gentilezza nel tratto, l’attenzione a non ferire con parole violente, impeti irragionevoli e gesti aggressivi. La scuola è chiamata a insegnare parole di incoraggiamento che danno forza, che consolano e non parole che umiliano, rattristano, irritano e disprezzano. Regalare un sorriso, dire una parola di speranza e di fiducia in mezzo a tanta indifferenza trasforma profondamente i
rapporti sociali e crea autentiche e profonde relazioni interpersonali.
A voi, cari studenti, rivolgo l’augurio di papa Francesco: « a voi che coltivate sogni grandi ma spesso offuscati dal timore di non vederli realizzati; a voi che a volte pensate di non farcela – un po’ di pessimismo ci assale a volte –; a voi, giovani, tentati in questo tempo di scoraggiarvi, di giudicarvi forse inadeguati o di nascondere il dolore mascherandolo con un sorriso; a voi, giovani, che volete cambiare il mondo – ed è un bene che vogliate cambiare il mondo – e che volete lottare per la giustizia e la pace; a voi, giovani, che ci mettete impegno e fantasia nella vita, ma vi sembra che non bastino; a voi, giovani, di cui la Chiesa e il mondo hanno bisogno come la terra della pioggia; a voi, giovani, che siete il presente e il futuro; sì, proprio a voi, giovani, Gesù oggi dice: “Non temete!”, “Non abbiate paura!”».
+ Vincenzo Pelvi
Arcivescovo