#IOCISONO, il sit-in visto da dentro
C’è un tempo per parlare ed un tempo per restare in silenzio. Poi c’è il senso di responsabilità che richiama un altro tempo: il tempo in cui tu devi far parlare il silenzio. Quando, noi adulti, abbiamo cominciato a metterci le mani in tasca abdicando al senso di responsabilità?
Queste parole di don Marcello Cozzi, sentite da vicino, hanno creato un senso di vuoto e di smarrimento. Quand’è che abbiamo continuato a parlare senza lasciarci pervadere dal silenzio? Quand’è che irresponsabilmente ci siamo messi le mani in tasca e ci siamo voltati da un’altra parte?
Spesso pensiamo, o vogliamo continuare a pensare, che l’esortazione e la domanda non ci riguarda. Appartiene agli altri che sono sempre colpevoli di tutto.
Questa volta, però, è diverso perché don Marcello mentre parlava ci guardava negli occhi, fissava il suo sguardo su ognuno di noi. Era inevitabile non pensare a tutte quelle volte che metaforicamente ci siamo messo le mani in tasca e ci siamo voltati da un’altra parte. Allora abbiamo cominciato a guardarci l’un l’altro per darci forza, per farci coraggio, per continuare a credere che insieme è più facile sfilare le mani dalle nostre tasche perrimboccarsi responsabilmente le maniche.
E’ stato bello guardarsi a lungo. E’ stato bello sentire che quel senso di vuoto e di smarrimento, a poco a poco, lasciava spazio alla speranza. Non una speranza compagna dell’utopia, ma una speranza che entra nel quotidiano di ognuno trasformandolo in un atteggiamento del farsi carico responsabilmente della comunità in cui vive. Allora la piazza si colora e si comincia a pensare che davvero si può infrangere quel muro di indifferenza che sembra invalicabile.
Poi alzando ancora lo sguardo si è corso il rischio di rimanereaccecati dal bagliore del lastricato bianco di quella parte della piazza rimasta vuota.
Quand’è che abbiamo chiuso la porta al senso di comunità barricandoci all’interno dell’individualismo più spiccato? Quand’è che abbiamo smesso di uscire di casa per formare una comunità viva che si prende cura di ognuno, che si preoccupa del mondo che lascerà in eredità ai propri figli ed ha premura dei figli a cui lascerà la propria terra?
Abbiamo cercato di rispondere a queste ed a tutte le altre domande che poneva don Marcello. Non sempre v’è la risposta giusta, spesso vi sono quelle più facili o più comode.
Tuttavia abbiamo vissuto un momento unico. L’incontro o il ri-incontro con persone che conoscevamo solo di nome pur vivendo in una piccola comunità. Il miracolo della cooperazione si è di nuovo avverato: gli sguardi, i sorrisi e le espressioni di ognuno sono diventati subito familiari per tutti. I nomi di ognuno che fino ad una settimana fa denotavano dei meri conoscenti, sono diventati familiari, sono diventati le parole più pronunciate da ognuno di noi in questi giorni. Il senso di appartenenza è emerso nel sentirsi membra della stessa comunità.
Forse quella parte di lastricato della piazza vuota ci ha dato la sensazione che il vento dell’indifferenza spirasse ancora lento, ma inesorabile tra le strade del nostro paese. Forse il dubbio che fosse tutto inutile ci ha sfiorato. Poi, invece, ha prevalso la voglia di comprendere la presenza di chi ha voluto esserci. La voglia di comprendere prima di giudicare e scartare colui che non corrisponde al nostro modello. La voglia di restare prima di farsi prendere dalla paura e scappare.
Allora abbiamo capito che quei volti che hanno voluto esserci, quegli sguardi celati da occhiali scuri per soffocare l’emozione, hanno infranto il vento di quell’indifferenza che sembrava impregnare anche le mura di questo paese.
Nulla potrà essere più come prima perché è stata segnata una strada. Non si è ancora in molti a percorrerla, ma il sentiero è segnato ed altri si aggiungeranno. Questo è solo l’inizio. E’ l’inizio della fine dell’indifferenza.
Coordinamento #NOICISIAMO