AttualitàBasilicataBasilicataComunicatiCulturaPugliaPuglia

Ivana Orlando presenta l’architetto Massimo Fantino

1 (1)Nato a Torino nel 1968, per Massimo “lo scrivere” è un’occupazione estemporanea che coltiva a ritmi e momenti molto discontinui. Quasi un’esigenza per sviscerare argomenti che sarebbero difficili da esprimere in altra maniera: la poesia come liberazione dell’anima, ma anche strumento di espiazione delle proprie colpe. Una poesia che si avvale della quiete della notte per infondere chiarezza a significati che – nella luce – si perdono e si confondono.

 

IV

Sono venti.  

Venti graffi cosparsi col sale  

urina e sangue da attraversare  

in quest’autunno di viti maldestre.  

Se non fossi un buon osservatore 

non saprei distinguere 

se il ferro che mi attraversa  

é salvamento o benedizione. 

 

XV 

Ho una parola sola nella carne.  

Una parola.  

Non scritta, non detta, non vergata  

non trasmessa tramite editti  

ne portata a conoscenza con la voce. 

Una parola che, forse, non ho nemmeno mai pronunciato  

e, se questo é stato, é stato troppo.  

Ho una parola sola nelle tasche  

da portare, cosí…  

come un capo fuori moda.  

Come qualcosa di cui vergognarsi  

ma da conservare con cura per poi fermarsi a rimirarla.  

E non c’é modo di stanarla da lí,  

dalla carne.  

Ti si appiccica addosso come il fumo, la salsedine.  

Come l’odore oleoso della morte. 

 

XX – Hommage a Lèo Ferrè 

Cette bave des chevaux ras 

Au raz des rocs qui se consument  

Ö l´ange des plaisirs perdus  

Ö rumeurs d´une autre habitude  

Mes désirs dès lors ne sont plus  

Qu´un chagrin de ma solitude 

(La Mémoire et la Mer – Lèo Ferrè) 
Vite vissute a memoria 

senza il mare dentro 

senza un infinito da traguardare 

celate allo sguardo del Destino 

che le sfiora per un istante 

senza toccarsi. 

Luci che passano  

colori che cambiano 

tutto disegna l’attimo 

preciso, tangibile 

in cui il coltello viene lanciato. 

E io non sono più qui. 

 

XXVIII 

E’ un macerare lento 

questo attendere. 

E’ una sorta di tortura cinese 

in cui tu non ci sei 

e non sai. 

Uso tecniche di waterboarding 

per distogliere il respiro 

serrare il dolore fra le scapole 

fin quando i nervi tesi 

non si lacerano 

non prima che il dardo della mia parola 

sia scoccato 

– diritto –  

al centro esatto dei tuoi occhi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *