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“La conversione di Silvia ad opera di un Corano intraducibile”

“Auguro a Silvia Romano di poter vivere in pace e come desidera, poiché le sue scelte personali non sono di mia competenza, ma la sua discesa dall’aereo in diretta tv e social, su precisa scelta dell’esecutivo, ha determinato un’immagine di forte impatto simbolico, che ha conseguenze sulle scelte politiche e internazionali del nostro Paese.

Preso atto di tale necessaria premessa, da studiosa del mondo arabo islamico e mediatrice culturale, mi è sembrato veramente improbabile che durante la prigionia ad opera delle milizie di al-Shabaab, le sia stata fornita una copia del Corano tradotta in Italiano, lingua degli infedeli.

Poiché tale gruppo terroristico ispirandosi ad una visione di Islam radicale, certamente considera blasfema la traduzione del Corano, al pari della radio e della Tv, tutte cose vietate durante il periodo in cui al-Shabaab aveva imposto l’autorità dell’Unione dei Tribunali Islamici a buona parte della Somalia compresa la capitale Mogadiscio.

Inoltre se non parli arabo, o meglio fusha (arabo classico), non riesci a comprendere il testo coranico, che presuppone una serie di conoscenza lessicali e linguistiche per nulla immediate, per cui mi sembra difficile che la sua conversione sia maturata in seguito a sue acquisizioni linguistiche e lessicali, piuttosto è ipotizzabile che sia stata avvicinata al Corano, in maniera indiretta, o per meglio dire per mezzo di qualcuno che abbia potuto spiegarle i versetti.

Oppure il compimento di un atto considerato blasfemo, come la fornitura di un Corano tradotto nella lingua degli infedeli, probabilmente implica che Silvia non è stata tenuta prigioniera da un gruppo di estremisti islamici ma da un’altra organizzazione.

Ad ogni modo le conseguenze psicologiche prodotte da 18 mesi di prigionia, si vedranno nei prossimi mesi e nei prossimi mesi, anche Silvia sarà in grado di comprendere il suo posto nel mondo e scegliere quale Islam professare, poiché non è la religione ma le declinazioni che le si attribuiscono a renderla un’arma distruttiva. 

Da ultimo la Somalia era un paese sotto la nostra influenza, nonostante il Covid le relazioni internazionali e i rapporti diplomatici necessitano dello sforzo e del lavoro della Farnesina, che non necessariamente deve accogliere a Ciampino, i cooperanti o i carichi sanitari, ma riportarci in auge, curare più di prima i rapporti politici che divengono anche economici e culturali.

L’output di questi Paesi non è solo immigrazione, ma si rende necessario considerarli come opportunità per l’Italia e per loro. D’altronde la naturale posizione geografica dell’Italia e il conseguente terreno culturale comune dovrebbero naturalmente portarci ad un ruolo di rilievo sulla scena politica.

Rimane da chiarire il ruolo della Turchia nella vicenda, mi auguro che tale collaborazione rientri in un accordo più ampio che comprenda un allentamento delle tensioni Italia-Turchia nel Mediterraneo, come ad esempio in Libia e sulle prospezioni petrolifere nel quadrante sud orientale del Mediterraneo.

Inoltre, i cooperanti e volontari sono uno strumento per conoscere i Paesi e dovrebbero essere messi a sistema per stabilire relazioni costruttive. Hanno una conoscenza del territorio, delle specificità culturali e religiose che dovrebbe essere veicolato da chi ricopre ruoli decisionali”.

Francesca Iacovino

Mediatrice culturale – Laureata in lingua e cultura araba

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