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La nota del segretario generale del SAPPE sul problema del sovraffollamento delle carceri

Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, polemizza con chi, in questi ultimi giorni, ha sollevato il problema del sovraffollamento delle carceri: “Il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria non si fa prendere per il naso da chi oggi pensa di avere scoperto l’acqua calda e i problemi carcerari sollecitando improbabili indulti e leggi svuota carceri, mentre per mesi ed anni non hanno detto una parola sui provvedimenti delle varie maggioranze di sinistra al Governo che, nel tempo, hanno destabilizzato il sistema e destrutturato la sicurezza nelle carceri. In primo luogo, l’eliminazione della sanità penitenziaria che consentiva una gestione “interna”: aver ricondotto tutto sotto la gestione della sanità pubblica e delle AUSL ha determinato notevoli disservizi e incapacità di avere una adeguata gestione interna. Poi, l’introduzione di vigilanza dinamica e celle aperte, modello organizzativo seguito alla ormai famosa sentenza Torreggiani, che ha sostanzialmente consegnato le carceri ai detenuti. Infine, la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, OPG, con la relativa istituzione delle REMS, i cui posti sono assolutamente insufficienti, ma a volte, anche laddove ci sono, quando si tratta di malati molto gravi, sembra che nessuno voglia farsene carico”.
“Il SAPPE crede sia davvero giunta l’ora di ripensare la repressione penale mettendo da un lato i fatti ritenuti di un disvalore sociale di tale gravità da imporre una reazione dello Stato con la misura estrema che è il carcere: e dall’altro, anche mantenendo la rilevanza penale, indicare le condotte per le quali non è necessario il carcere. Una opzione di questo tipo dovrebbe ridisegnare il sistema a partire dalle storture determinate dal doppio binario per i recidivi, dalle norme in materia di immigrazione e dalla individuazione delle risorse per affrontare il tema delle dipendenze e dei disturbi mentali fuori dal carcere”, spiega Capece.
“Si potrebbe quindi ipotizzare un nuovo sistema penitenziario articolato su tre livelli”,: “il primo, per i reati meno gravi con una pena detentiva non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale è l’istituto della “messa alla prova”; il secondo livello è quello che riguarda le pene detentive superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare. Il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario”, conclude il leader del SAPPE. “Nell’ambito delle prospettive future occorre dunque che lo Stato, pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema, anche perché il sovraffollamento impedisce di fatto la separazione dei detenuti. E la Polizia penitenziaria, che riteniamo debba connotarsi sempre più come Polizia dell’esecuzione penale oltreché di prevenzione e di sicurezza per i compiti istituzionali ad essa affidati dall’ordinamento, è sicuramente quella propriamente deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative”.

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