Le origini di Viggianello
Viggianello ebbe la sua luce intorno all’anno mille. “Nel tempo che le regine barbare cavalcavano bianche chinee, figliuole della chimera e del nembo, una regina barbara, che aveva i capelli di tenebra e gli occhi di fuoco , e solo scendeva dall’arcione , per amare ne scese un giorno , per dissetarsi alle fonti del Mercure. E, nel curvarsi, l’anello nuziale le cadde da l’anulare nell’acqua”Gran pianto fece la regina barbara per la perdita di quell’anello, che la legava in voto al suo morto amore, e tutto tentò di ritrovarlo. Un suo fedele a consolarla , le disse:-Perderò gli occhi , regina, mi farò mordere le mani dalle aspidi acquatiche, ma ritroverò l’anello della tua sorte…………..” piangeva la regina . Come potrò tornare sulla tomba dell’amore, senza l’anello del destino? “………….” Ma come la luna d’ragento , navigando per il cielo senza via, superò il culmine del Palavazzone e rischiarò le fonti del fiume, una stella nacque, improvvisa nell’acqua. Il fedele gridò –Vidi anello regina! E il mio paese nacque ……e la regina barbara vi venne a morire , E fu sepolta nel letto del fiume , insieme alla sua bianca chinea”.Un nome legato ad una leggenda ma, antichissimo come attestano i molti documenti…. Quasi sicuramente la sua fondazione avvenne per opera di altri popoli italiani o stranieri fuggiti dalle loro terre e ospitati dai monaci basiliani che offrirono loro sostegno e pace. Nel 1132 il paese era segnato su una carta del tempo con il nome di Bianulum, dunque un paese costruito intorno al monastero fortificato circondato da case e capanne, nell’XI secolo i Normanni lo trasformarono in una solida roccaforte adeguato successivamente alle esigenze del feudalesimo, trasformato in castello, nel 1224 nel castello di “Bingianello” l’imperatore Federico II di Svevia riconfermò i suoi privilegi, le donazioni e le esenzioni su tutto quello che era stato dato a Roberto conte di Tricarico e a Goffredo Abate e al monastero di Santa Maria di Acquaformosa. Nel 1438 Eugenio VI confermò alla certosa di S. Nicola di Chiaromonte i diritti feudali su “ quoddam eorum castrum dictum Bigganellum. Poi fu feudo dei Bozzuti durante il regno degli Aragonesi e dal 1496 al 1809 dei principi di San severino di Bisignano , conti di Marsico e Feudatari di Viggianello,fino alle leggi sull’eversione della feudalità, emanate da Napoleone perse il suo potere.
Le Leggende
Non è possibile pensare ad una comunità senza leggende. Le leggende fanno parte delle radici che uniscono un territorio, una lingua, una storia e Viggianello non sfugge a questa verità, tante sono le sue leggende, tutte ad esorcizzare, in qualche modo bene e male, vita e morte…leggende che narrano di diavoli e tesori…”In una grotta che si chiama di “Gesù e Maria” si narra che la notte di Natale al primo rintocco delle campane la pietra si apre e chiunque può entrare a prendere i tesori che custodisce ma, se l’avidità prende il sopravvento (come spesso capita) e il suono delle campane cessa, prima che egli sia uscito la pietra si richiude e i diavoli si gettano sull’anima del malcapitato. Ma, forse una delle più belle leggende di questo paese è quella che riguarda le campane della chiesa madre Santa Caterina D’Alessandria.
“Mi ricordo che da sempre ho sentito questo racconto e nelle sue mille versioni non ha mai perso il suo malinconico fascino.
Narra la leggenda che una vergine, a nome Ardenza, votatasi in purità al Signore, per sfuggire alle nozze impostegli dal padre, potente e torvo signore della Terra, col più temuto e ambizioso principe vicino, fuggì una notte dal castello paterno e si rifugiò nel bosco, ov’era più profondo e più folto.Ovunque Ardenza posava il piede, nasceva un giglio di fiamma o un giglio di neve. E la via della leggenda si chiamò cammino dei gigli. La vergine era bellissima, che pareva nata dal sole e dall’acqua chiara. I suoi capelli erano scuri come l’ala dei corvi e le raggiungevano i malleoli. Visse nel bosco di santità e di ardore. E’ fama che un grappolo di api le fabbricassero un favo del più dolce e delicato e profumato miele, di cui Ardenza si cibava. Pregava e cantava: si tratteneva in colloqui con Dio con gli usignoli, coi fiori e con gli angeli, che la destavano ogni alba, l’addormentavano ogni sera sulle loro invisibili braccia incerate. Nel castello paterno e per le terre vicine e lontane, fin dove era fama della sua bellezza, la crederono morta e la piansero. Ma un giorno, il principe della Terra contigua bandì nel bosco una grande partita di caccia:cento mute di cani, cento cavalli.Tutta la selva fu un tumulto di corni, di trombe, di richiami, di urla degli uomini,dell’ululo dei cani. Dove l’intrico e il viluppo degli arbusti e della fratta inceppavano il passo alla cavalcata satanica, le scuri abbattevano e facevano largo al principe cacciatore. La vergine Ardenza, presa di terrore, si nascose in una macchia di mirto, si avvolse nei suoi capelli. La cavalcata passò. Ma un cane -il più diletto al principe- nel quale era entrato il demonio, si diè forte ad ululare, fermo davanti la macchia. Pensò il principe. -Dev’esserci un covo di lepri-Vi trovò Ardenza, la sua fidanzata perduta, che era l’amante di Dio. E volle toglierla al Signore. La menò al castello, sul suo cavallo di guerra e di trionfo.-Ora sarai mia sposa.-E bandì gran festa di nozze. Alla vergine disse. -Entro tre giorni avrai scelto: o me, o la morte.-L’amante del Signore parlò.-La morte.-Fece allora il principe costruire da certi suoi fabbri una gran veste di bronzo e vi fece serrar dentro la Vergine Ardenza. Per tre ore ella canto: prima gioia , poi pianto, poi agonia, sotto la cappa pesante. E morì.Mille anni passarono: nelle leggende gli anni passano sempre di mille in mille.Quando fu costruito Viggianello, mancava il bronzo per le campane. E, fruga e rifruga, nei sotterranei di un castello spiritato, fu trovata la strana veste di bronzo, entro la quale aveva agonizzato la più dolce e bella amante di Dio. Con quel bronzo fusero le campane, le quali, la prima volta che furono sciolte a gloria, dall’alto della torre, cantarono la gioia, il pianto e l’agonia di Ardenza.La voce della Vergine, per virtù di miracolo, si era impressa nel metallo, vi era rimasta, divenuta anima per i secoli.E ancora oggi, tutti gli anni, quando cade la notte dell’anniversario della morte di Ardenza, le campane di Viggianello si sciolgono sole, come mosse dal fiato degli angeli, e cantano e piangono e agonizzano con la voce della Vergine di Dio.Ma nessuno può sentirle se non è puro come Ardenza.Raccontano ancora che, da mille e mille anni nei sotterranei del castello dei principi di Sanseverino Bisognano, una serpe verde viva e covi le sue uova divenute di pietra.La serpe non può morire e le uova non si possono schiudere, a questa configurazione è legato inconsapevolmente il destino di Viggianello, paese che, chiuso nel suo patrialcalismo non potrebbe,secondo la leggenda, nè morire e né nascere alla civiltà e al progresso.
Da “La Basilicata nel mondo”,1925 di Ferdinando Santoro