ll farmacista Nunzio Longo presenta a Bari uno studio sull’utilizzo delle erbe farmacologiche e del loro rapporto tra forma e corpo
Il farmacista Nunzio Longo di Matera porta ancora una volta il buon nome della città dei Sassi in un consesso nazionale ovvero il Convegno
Siss (Società Italiana di Storia della Scienza) che si è svolto a Bari presso la Facoltà di Filosofia dell’Università ‘Aldo Moro’. Dopo aver presentato la ‘Speciaria materana del 1500’, questa volta ha tracciato un percorso storico ‘Dall’Empirismo della Medicina Popolare dei Sassi di Matera alla Biomedicina’. Partendo dal concetto che l’uomo abbia vari bisogni, ed in primis la cura della salute, si comprende come le varie sfaccettature che lo attraversano siano rappresentate dalle patologie che possono interessarlo. Da sempre, per curarsi dalle varie malattie, l’uomo si è rivolto alla natura utilizzando le erbe spontanee differenti da quelle per scopi alimentari. Dallo studio di Longo emerge che l’uomo che viveva nei sassi aveva a disposizione una farmacopea naturale rappresentata dal vallone della ‘Gravina’ in grado di soddisfare tutte le esigenze umane sia alimentari che
farmacologiche ed in questo caso si era in grado di sfruttare il ‘fitocomplesso’ (ovvero l’insieme dei componenti chimici di una pianta) per curarsi secondo ‘principi attivi’ risultanti dalla combinazione di essi con altre sostanze. La differenza tra la cura delle erbe e quella della biomedicina- conferma Nunzio Longo- sta proprio nella ricchezza del ‘fitocomplesso’ “che non può essere chimicamente parcellizzato in una pillola. La sua azione è più estesa e polivalente ed ha una bassa tossicità”. La pianta medicamentosa diventava inoltre un simbolo ‘apotropaico’ perché in grado di fornire alla mente la certezza della guarigione. Anche questo aspetto-aggiunge Longo- “aveva un input personale sul cervello del malato che,
attribuiva una valenza guaritrice al medicamento naturale a seconda della sua sensibilità e predisposizione”. Di ben altro calibro la biomedicina che non si basa su ‘sensibilizzazione psicologica’ pur se si staglia sul concetto di effetto placebo”. Un’altra particolarità concettuale legata all’utilizzo di erbe o prodotti della natura è legata ad un rapporto forma-corpo, nel senso che a seconda della forma del medicamento, si guariva quella parte di corpo che più le somigliava. Ad esempio, il gheriglio cerebriforme della noce veniva impiegato per le malattie encefaliche, il pomodoro sezionato corrispondeva alle quattro camere del cuore, i fagioli ai reni, l’interno della carota all’occhio, l’uva ai polmoni e il sedano alle
ossa. L’intreccio profondo tra micro e macrocosmo costituiva, anche per gli uomini materani del tempo la certezza che in natura si trovassero tutti gli elementi necessari per la cura delle varie patologie.
In definitiva, dice ancora Longo, la tematica “non è una semplice ricostruzione storica ma un vero e proprio vissuto curativo che crea le propaggini della medicina odierna”. Per il Presidente regionale di Federfarma Basilicata Antonio Guerricchio, “lo studio condotto da Longo ci dice molto sulle
metodologie di cura dei nostri avi che, nonostante tutto erano già al passo con i tempi moderni”. In effetti, guardando ai vari componenti
naturali, è palese che- dice ancora Guerricchio- “il resveratrolo contenuto nell’uva è in grado di ridurre le sostanze chimiche dannose presenti nei polmoni causando disturbi cronici ostruttivi e fa bene anche al cuore. La presenza di beta-carotene nelle carote è un potente antiossidante e preserva la salute degli occhi. Il licopene contenuto nel pomodoro migliora la pressione del sangue e quindi l’attività cardiaca. Queste sono tutte soluzioni adeguate in presenza non solo di una sana alimentazione, da affiancare ad adeguate terapie farmacologiche. Certamente non si può immaginare di curare una qualsiasi patologia solo con l’aiuto di sostanze alimentari, ma è sempre necessario adeguare la cura con farmaci che affrontano e risolvono il problema”.