Lo strozzino confessa, ma è già fuori dal carcere
È bastato confessare ogni addebito per far decadere ogni esigenza di custodia cautelare. Così Andrea Miccoli, il presunto usuraio arrestato sabato mattina dalla squadra mobile di Mesagne, a seguito della denuncia sporta da due imprenditori, sue vittime, è passato dal carcere ai domiciliari. Resta in piedi l’accusa di usura aggravata. Un’accusa retta sulle prove raccolte dagli investigatori coordinati dal vicequestore Sabrina Manzoni, con appostamenti e intercettazioni.
Tutto parte dalla denuncia di un imprenditore edile di Mesagne, stanco delle presunte intimidazioni ricevute. L’uomo spiega agli inquirenti di essersi rivolto a Miccoli per chiedergli un aiuto finanziario, per via delle recenti difficoltà economiche in cui si era ritrovato. Miccoli aveva accettato di aiutarlo inizialmente con un primo prestito da 2 mila euro, che l’imprenditore avrebbe dovute restituire in un mese con l’aggiunta di 500 euro. Per questo primo prestito va tutto bene. Poi però l’imprenditore si ritrova in difficoltà e si ripresenta dunque l’esigenza di contanti. Questa volta però la somma è più alta, 9 mila euro e con essa crescono anche gli interessi (oltre la somma ricevuta l’imprenditore deve aggiungere 11 mila euro). Allo scadere dei termini l’imprenditore non ce la fa. Così iniziano le pressioni, le presunte intimidazioni, fino a costringerlo a rivolgersi alla polizia e durante un incontro concordato con Miccoli in un bar di Latiano, in provincia di Brindisi, gli agenti gli mettono addosso un registratore e lo seguono. Quando i due si incontrano ci sono già due poliziotti in borghese nel bar, mentre altri sono appostati in auto vicine.
Mariateresa Cotugno