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Metalmeccanici: anche in Basilicata sciopero per il rinnovo del contratto nazionale

Dopo l’attivo unitario in videoconferenza del 21 ottobre scorso e in vista dello sciopero nazionale del 5 novembre, le segreterie regionali di Fim, Fiom e Uilm hanno indetto due ore di sciopero nelle aziende metalmeccaniche della regione a sostegno della trattativa per il rinnovo del contratto nazionale. I lavoratori dell’indotto Fca di Melfi incroceranno le braccia per due ore il 28 e il 29 ottobre su tre turni: dalle 12 alle 14, dalle 14 alle 16 e dalle 4 alle 6. Per le aziende che adottano la quarta squadra lo sciopero è programmato dalle 4 alle 6 del 30 ottobre. Previste inoltre assemblee ad ogni turno nel rispetto delle norme anti-Covid: il 28 nel piazzale della Yangfeng e il 29 nel piazzale della MA. Il 29 ottobre incroceranno le braccia anche i lavoratori di Ferrosud, Bawer e Comer, con assemblea sindacale nel piazzale della Ferrosud dalle 12 alle 14, e i lavoratori delle industrie metalmeccaniche della Valbasento (Sogemont, Sudelettra e Inpes) con assemblea dalle 15 alle 17 nel piazzale della Sogemont. Nel potentino il 2 novembre sciopereranno i lavoratori metalmeccanici di Italtractor ITM, SiderPotenza e Dalmine per 2 ore alla fine di ogni turno con assemblea nei pressi della Dalmine dalle 12.00 alle 14.00, e dell’area industriale di Tito scalo, sempre per 2 ore a fine turno, con assemblea davanti alla TFA (ex Firema) dalle 15.30 alle 17.00

 

Lo sciopero è stato proclamato dalle segreterie nazionali di Fim, Fiom e Uilm dopo la rottura della trattativa con le controparti Federmeccanica e Assistal, accusate dai sindacati metalmeccanici di aver bloccato la prosecuzione della trattativa e di aver posto come condizione per la ripresa del negoziato la revoca dello stato di mobilitazione che la delegazione sindacale aveva appena proclamato. Fim, Fiom e Uilm in una nota spiegano di aver dichiarato l’apertura della mobilitazione “in conseguenza della posizione assunta da Federmeccanica e Assistal sugli aspetti retributivi dopo la mancanza di aperture significative sugli aspetti normativi. La crisi del negoziato è stata determinata dalla posizione datoriale che confermava il meccanismo di rivalutazione dei minimi contrattuali solo sulla base dell’IPCA a consuntivo”.

 

“Su salute e sicurezza sul lavoro, formazione, politiche attive e strumenti di gestione della crisi, mercato del lavoro e appalti – continuano Fim, Fiom e Uilm – sono state rappresentate le specifiche e reciproche posizioni, ma non c’è stata mai una vera trattativa con la ricerca di convergenze e aggiustamenti reciproci. Altri temi come inquadramento, orari di lavoro e diritti personali non sono stati neppure affrontati a causa dell’irresponsabile e provocatoria richiesta di non procedere – dopo 11 mesi di negoziato e dopo 9 mesi di vacanza contrattuale – a una prima forma di mobilitazione: lo sciopero delle prestazioni straordinarie e delle flessibilità”.
 
“Già da prima della pandemia la situazione delle lavoratrici e dei lavoratori metalmeccanici era difficile sul piano economico e occupazionale: da un lato i salari più bassi di Europa, che inoltre subiscono un insostenibile prelievo fiscale, dall’altro le tante crisi industriali provocate per lo più dalle scelte delle imprese che volevano e vogliono tutt’ora delocalizzare o far pagare il costo solo ai lavoratori. Anche sullo smart working, che ha aiutato parte delle imprese e parte dei lavoratori a superare la lunga emergenza sanitaria, la posizione della controparte è stata la stessa: nessuna apertura reale al negoziato”.

 

Per Fim, Fiom e Uilm “dopo nove mesi le controparti non possono pensare di eludere il confronto sui temi normativi che rispondono ai bisogni dei lavoratori, di offrire meno di 40 euro di aumento contrattuale – sempre che l’IPCA vada secondo le previsioni – e di pretendere che di fronte a tutto questo non ci sia la mobilitazione per tutelare l’occupazione e difendere il contratto nazionale”.

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