Il monito di Pittella: “Coltiviamo la solidarietà, l’unità e la perequazione””
I venti di guerra che in queste ore spirano sulla Spagna, alla vigilia del preannunciato referendum indipendentista catalano, che rischia di innescare una polveriera potenzialmente devastante e difficilmente gestibile per la tenuta democratica di quel Paese, rappresentano per noi tutti un campanello d’allarme. Lo è per l’Italia. E a maggior ragione per una comunità nazionale – come la nostra – attraversata da spinte “autonomiste” che sfoceranno nel referendum del 22 ottobre prossimo in Veneto e Lombardia, nel malcelato tentativo di scardinare il patto sociale su cui si fonda la Repubblica italiana, a danno soprattutto delle regioni più deboli.
Mi auguro ci si fermi in tempo. Perché in caso contrario sarebbe una sciagura istituzionale e sociale, oltre che un colossale errore politico, addebitabile ad una classe dirigente locale impegnata a solleticare la “pancia” del proprio elettorato, pur di inseguire un consenso sempre più alimentato da populismi, egoismi e campanilismi.
Mai come in questo momento, l’Italia ha bisogno di più unità. Di una visione comune. Di un idem sentire su valori condivisi, per affrontare, partendo da una nuova e più forte solidarietà nazionale, i grandi temi dello sviluppo, in uno scenario europeo e mondiale sempre più complicato e difficile.
Le Regioni devono mettere a valore la propria identità, senza guerre fratricide, in un quadro di collaborazione istituzionale che premi la linea del dialogo e del confronto costruttivo tra Governo centrale e realtà locali. Un esempio è quello che abbiamo fatto con l’accordo sull’acqua sottoscritto lo scorso anno tra Basilicata, Puglia e governo nazionale. Quell’intesa di programma rappresenta un caso virtuoso di solidarietà territoriale che ha trovato nei diversi “Patti per il Sud” un momento di successiva, ulteriore esaltazione.
Ho già avuto modo di ricordare che grazie allo straordinario lavoro di Claudio De Vincenti, il Ministero per il Mezzogiorno è diventato una realtà dalla quale partire per fare del Sud una opportunità di crescita dell’intero Paese.
Del resto, proprio alla luce di quello che sta accadendo in Spagna, reputo sbagliata la guerra dei numeri che ancora una volta, in questi giorni, si è innescata tra Nord e Sud. L’economista Gianfranco Viesti replicando al direttore di Bankitalia Salvatore Rossi ha dimostrato, dati alla mano, che negli anni della crisi le classi dirigenti del centrodestra hanno fatto pagare soprattutto al Sud il conto dell’austerità.
E’ un dato di fatto che nel Mezzogiorno siano disponibili meno servizi, e spesso di qualità inferiore, per i cittadini e le imprese. Nel periodo 2000-2014 le Ferrovie dello Stato hanno investito meno di 50 euro pro-capite al Sud e quasi 120 al Centro-Nord. La spesa pubblica allargata, nel 2015, era pari a 15.801 euro pro-capite al Centro-Nord e a 12.222 euro nel Mezzogiorno, cioè il 23 per cento in meno. Il welfare italiano è prevalentemente pensionistico e questo di fatto contribuisce a spostare il denaro pubblico nel Settentrione, dove si pagano più pensioni e di maggiore importo. Nella scuola, nella sanità, nella raccolta dei rifiuti c’è poi un Sud a macchia di leopardo, con una minore dotazione di infrastrutture e capitale pubblico, come dimostra la stessa qualità degli edifici scolastici, della rete stradale e ferroviaria e di quella idrica e fognaria.
Come si vede, in un clima di scontro, ed utilizzando dati che sono sotto gli occhi di tutti, sarebbe facile soffiare sul fuoco del “ribellismo” istituzionale, alimentando i cori degli ultrà tra le diverse curve dello stadio-Italia. Ne usciremmo però tutti sconfitti. E ci ritroveremmo un Paese in macerie, sotto il profilo politico-istituzionale e sociale. Credo che nessuno lo voglia. E per quanto mi riguarda, nel mio piccolo, lavorerò perché ciò non accada.
Marcello Pittella