Mostra fotografica ‘Aqua – deserti e monsoni’
La Galleria di Porta Pepice, a Matera in Via delle Beccherie 55, presenterà dal 14 aprile una straordinaria mostra sull’acqua, in stretta concomitanza con le iniziative del “UN Water” (www.unwater.org), l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa dei problemi legati all’acqua. La Un Water ha proclamare il 2013 “Anno Mondiale per la Cooperazione Idrica” e il 22 marzo u.s. è stata la “Giornata Mondiale dell’Acqua”.
Il tema della mostra fotografica che la Galleria di Porta Pepice porta a Matera, sviluppa due aspetti contrapposti, entrambi legati al quarto elemento: la desertificazione e le inondazioni, nonché le conseguenze sulle popolazioni che abitano i territori colpiti da quegli eventi.
Il progetto artistico (che ha connotazione altamente sociale) è il risultato dell’incontro tra due fotografi di provenienze antipodiche: G.M.B. Akash (Bangladesh) e Gaetano Plasmati (Italia, con numerose spedizioni in Africa al suo attivo). Stili fotografici, culture ed esperienze differenti che si sono fuse in un comune impegno per coinvolgere i visitatori in uno straordinario viaggio che, attraverso le immagini, propone temi e realtà distanti dall’occidente, e intende portare il pubblico a riflettere e a prendere coscienza del problema.
Il progetto di Gaetano Plasmati è il frutto di un percorso durato 15 anni ed è maturato nel corso di una serie di viaggi in Algeria, Libia, Tunisia, Marocco, Mali, Niger ed Eritrea.
I bellissimi scatti del fotografo materano descrivono un itinerario teso all’incontro con le popolazioni che vivono il dramma della desertificazione, come i Wodaabe, i Dogon, i Tuareg. Plasmati ha seguito il lento e inesorabile ritrarsi di quei popoli nomadi da territori che diventano sempre meno accoglienti per le tradizionali attività economiche che permettono loro di sostenersi. Le condizioni critiche e i disagi del nomadismo sono stati sempre condivisi dal fotoreporter, che ha assecondato, non senza problemi e rischi personali, il dinamico e inquieto stile di vita delle popolazioni nomadi ritratte nelle sue splendide immagini.
La desertificazione costituisce un pericolo per quasi il 50% delle terre emerse e pone a rischio più di 100 paesi con circa un miliardo di abitanti. Il continente più colpito è senz’altro l’Africa: qui oltre i due terzi delle terre coltivate sono a rischio. Il percorso di Plasmati si snoda tra le dune e le pitture rupestri dell’Acacus e del Tassili N’Ajjer in Algeria, il grande Sahara, i mercati delle mitiche città carovaniere Timbuctù, Djennè, Agadez, Niamey e Djanet. Plasmati ha ritratto paesaggi ostili e genti temprate dalla ruvidità della natura, dune dai colori vividi e rocce che sono veri e propri musei, carovane e sūq, in un rincorrersi di volti e paesaggi che fanno emergere l’estrema dignità e compostezza con le quali i “nomadi dell’acqua” vivono il proprio atavico disagio.
I fotogrammi di GMB Akash, viceversa, raccontano una condizione esattamente opposta: infatti la popolazione del Bangladesh convive pericolosamente con il rischio di cicloni e inondazioni: più di 100 milioni di persone vivono in aree rurali a rischio inondazioni. Due terzi del paese è a meno di 5 metri sul livello del mare e, in un anno medio, un quarto del paese è sconvolto da inondazioni. Il Bangladesh ha sperimentato devastanti allagamenti ogni 4 o 5 anni; in alcune occasioni essi hanno ricoperto più del 60 per cento del paese, con conseguenti significative perdite in termini umani, sociali ed economiche.
Il Gruppo Intergovernativo delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, ha previsto che il livello dei mari potrebbe sommergere il 17 per cento del Bangladesh nel 2050, e creare 20 milioni di “rifugiati ambientali”.
Le immagini di Akash raccontano al mondo la criticità della condizione umana nelle zone rurali dove, vite, abitazioni e raccolti, sono periodicamente travolti e annientati.
Gli scatti del fotografo bengalese, drammaticamente schietti e spesso ottenuti a rischio della sua personale incolumità, riportano anche la determinazione a voler ricominciare, raccogliendo quel che si può e ricostruendo la vita nei villaggi rasi al suolo dalla natura tormentata.