Muro di gomma sulla questione della ‘Francesco Padre’
Non hanno avuto riscontro le rogatorie internazionali chieste dalla Procura di Trani ai governi di Usa, Serbia e Montenegro per acquisire informazioni sui mezzi che operavano nell’area del mar Adriatico il 4 novembre 1994, quando esplose il peschereccio ‘Francesco Padre’, causando la morte di cinque pescatori di Molfetta (Bari). L’esplosione avvenne davanti alle coste del Montenegro, durante l’operazione Nato ‘Sharp Guard’, nel pieno della Guerra dei Balcani.
I pm tranesi, il procuratore Carlo Maria Capristo e il sostituto Giuseppe Maralfa, stanno procedendo con l’ipotesi di omicidio volontario, coordinando un’inchiesta riavviata nel 2010, e che ha visto sinora un grande impiego di uomini e mezzi. Gli inquirenti avevano chiesto ragguagli a Usa, Serbia e Montenegro circa l’uso dei mezzi aero-navali impiegati nella zona dai tre Paesi il giorno della tragedia, dopo che le perizie avevano avanzato l’ipotesi che il ‘Francesco Padre’, prima di esplodere, avesse subito un attacco armato. Le risposte alle rogatorie, però, sarebbero insoddisfacenti e non aiuterebbero la Procura di Trani a far luce sulle cause dell’esplosione che potrebbe essere stata causata da un ordigno militare. Inoltre, dalle prime indiscrezioni, sembra che Usa, Serbia e Montenegro abbiano fornito motivazioni differenti ma, di fatto, non hanno dato gli elementi richiesti nelle istanze formulate dai pm in base alla Convenzione di Strasburgo.
Duro il commento di Maria Pansini, presidente del comitato familiari vittime del ‘Francesco Padre’: “Stiamo provando con mano la sensazione di vivere quel tristemente famoso ‘muro di gomma’ di cui tanto avevamo sentito parlare, e che oggi sembra materializzarsi in questa tragica vicenda”. Le fa eco uno degli avvocati di parte civile, Nicky Persico: “Dove non può arrivare la legge, deve arrivare la diplomazia”.