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Il Museo Internazionale della Grafica inaugura la Mostra di Lucio Del Pezzo

Domenica 7 dicembre 2014, alle ore 18.00, il MIG inaugura la mostra: “Lucio Del Pezzo. Sculture, disegni, libri d’artista, immagini e documenti 1959 – 2013”, arricchita da Il Presepe geometrico realizzato per l’occasione. Un presepe “geometrico” i cui protagonisti (la Madonna, il Bambino, San Giuseppe, il bue e l’asino, i tre Re Magi, i due pastori, la stella cometa) sono figure stilizzate e dai colori vivaci che richiamano immediatamente il linguaggio espressivo dell’artista napoletano. I personaggi della scena sacra sono costruiti con cilindri colorati, cerchi, sfere, frammenti di arcobaleno, losanghe: un universo magico ed evocativo che tanto più si addice ad un simbolo della tradizione qual è il presepe.
Del Pezzo è nato a Napoli, nel quartiere di Posillipo, parola che in greco significa “pausa dal dolore” e le sue opere sono una sorta di unguento per l’anima. Come scrisse, infatti, Pierre Restany nel 1967, Lucio Del Pezzo è “la calma dopo la tempesta, il sospiro dopo l’angoscia”. I colori e le tradizioni della città partenopea sollecitano le sue composizioni d’oggetti, così come gli iniziali studi da agrimensore indirizzano la sua propensione all’armonia e alla misura.
Dopo gli studi all’Accademia di Napoli, dove è allievo di Emilio Notte, pittore futurista, si avvicina a Enrico Baj e alla pittura nucleare che si sta affermando in quegli anni a Milano. Nel 1953 Baj e i nucleari promuovono il “Movimento internazionale per una Bauhaus imaginista”, per un’arte fantastica, in polemica con il razionalismo geometrico, mentre con il manifesto del 1957, “Contro lo stile”, sostengono l’importanza di un creare costantemente sperimentale. Sull’esempio del movimento di pittura nucleare, Del Pezzo costituisce a Napoli insieme a Biasi, Di Bello, Fergola, Luca e Mario Persico, il “Gruppo 58” che vuole promuovere un’arte che sia nello stesso tempo spontanea ma non soggettiva, bensì attenta alla “natura mitica e arcaica che è dentro e fuori di noi”.
Soggiorna nel 1959 a Matera venendo a contatto con i suggestivi siti rupestri e la primitiva vita dei “Sassi”. Tiene nella città lucana lezioni di pittura e ceramica nell’atelier de La Martella. Decora la cupola della chiesa di Sant’Antonio a Stigliano (Mt).
Pur influenzato dal primo Kandinskij, da Malević e dalla metafisica di De Chirico, Del Pezzo elabora un linguaggio del tutto originale rispetto alla pittura di quegli anni. Nel 1960 approda in una Milano di grandi fermenti. Sono gli anni delle “Tavole dei ricordi”: l’artista deposita sul supporto di legno una patina di gesso su cui si mescolano elementi dadaisti, influssi della cultura devozionale napoletana e atmosfere atemporali. Dal ’62 in poi più netta sarà la separazione tra sfondo e oggetti, oggetti plastici di legno dipinto, metallo e altri materiali vengono collocati su mensole, cassettoni, modanature, un’architettura classica, retaggio della sua giovanile passione per l’archeologia.
Dal 1964 Del Pezzo è a Parigi (vi rimarrà fino al 1979), dove prende in affitto l’antico studio di Max Ernst: non a caso il suo talento è venuto fuori nel segno di Max. “Se non proprio il talento, si eredita l’attitudine all’arte, dice Del Pezzo, corredata da cultura e lettura; del resto non è vero che l’arte sia ispirazione pura, ma è lavoro duro, continuo, di giorno e anche di notte quando l’immagine immaginata resta a lungo sfuggente e non sa tradursi in segno”.
Lo Stato francese gli acquista due opere per il museo di Grenoble, ora esposte nella “Sala metafisica” accanto a De Chirico, Max Ernst, Carrà, Nevelson e Herbin. Dopo una serie di opere commissionate in Francia e di lavori con i bambini al Centre Pompidou di Parigi, progetta soluzioni grafiche per la Olivetti e la Renault.
Negli anni parigini, l’artista napoletano entra in contatto con i luoghi e il clima delle avanguardie di inizio secolo ed elabora uno stile del tutto personale, teso ad esplorare con i suoi collage tanto il mondo dell’inconscio e della scienza esoterica quanto quello dell’iconografia popolare. Tra i colori prediletti c’è l’oro, il metallo che più affascinava gli alchimisti, per il suo significato metafisico e trascendente e che dà alle composizioni un effetto sacrale. Realizza assemblages con labirinti che non hanno vie d’uscita, birilli, piramidi e ziggurath per scalare il cielo, amuleti magici, misteriosi geroglifici, forme che sono patrimonio comune di tutte le civiltà dalla preistoria all’antichità classica, dal medioevo ai giorni nostri. Un’opera, dunque, che produce “incantazione”, perchè alita nell’osservatore un soffio sonoro, invade la mente capace di divinità santa, generando armonia, grazia e agilità. Rientrato in Italia, le officine Italsider di Taranto gli dedicano una mostra di tutta la sua produzione grafica e gli commissionano alcune sculture in ferro. A partire dagli anni ’80 riceve una serie di incarichi didattici, tra cui, nel 1984 la cattedra di “Pittura sperimentale” alla nuova Accademia di Belle Arti di Milano fondata da Guido Ballo, nel 1996 viaggia in India, Nepal e Polinesia, ricavando forti influenze sul suo lavoro. Riceve nel 1997 il premio Imola e Luigi Lambertini pubblica una monografia dal titolo “Pagine a Zig Zag”. Nel 2000 disegna quattro grandi rilievi ceramici e una plastica in bronzo per due stazioni della nuova metropolitana di Napoli. Da questo momento, una serie di mostre di rilievo e di riconoscimenti rendono il suo lavoro sempre più apprezzato e seguito a livello internazionale. Vive e lavora a Milano dove è in corso un’antologica alla Galleria Marconi.

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