Omaggio a Antonietta Raphaël nei musei del sistema ACAMM
Il Sistema dei Musei e dei Beni Culturali ACAMM (Aliano, Castronuovo Sant’Andrea, Moliterno, Montemurro), rende omaggio ad Antonietta Raphaël Mafai in una nuova mostra condivisa che, come le altre sperimentate nel corso del 2017 con Guido Strazza, Mario Cresci, Fausto Melotti, Giulia Napoleone e Kengiro Azuma, ha dato il destro al quadrilatero per mettere in piedi un omaggio tutto lucano all’artista lituana che era stata tra Agri e Sinni nel 1972, dividendo 50 opere, tra disegni, tempere e opere grafiche (datate 1928 – 1975) nei musei MIG, Paul Russotto,MAM e Casa delle Muse di Leonardo Sinisgalli. Un itinerario a tappe, che spinge il visitatore a recarsi nei luoghi di cultura dei quattro paesi per ripercorrere la produzione artistica della Raphaël attraverso i suoi nudi (Aliano), i d’aprés (da Cézanne, Picasso, Cambiaso) e le opere grafiche (Castronuovo Sant’Andrea), i paesaggi (Moliterno),
gli autoritratti e i ritratti delle figlie o di Mario Mafai (Montemurro).
La mostra, la prima del nuovo anno per la rete ACAMM, è stata annunciata a Roma, presso la Galleria Nazioneale di Arte Moderna, in occasione della conferenza stampa di presentazione del Palinsesto ACAMM 2018, che ha visto la partecipazione, tra i tanti, anche di Giulia Mafai, figlia di Antonietta Raphael e Mario Mafai. Costumista e scenografa a partire dal 1950, collaboratrice per alcuni tra i più noti film italiani, lavoro che l’ha portata a essere spalla a spalla con vari registi e attori tra cui Vittorio De Sica, Mario Monicelli, Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Elliott Gould, Harvey Keitel, Keith Carradine, ha commentato, nel suo intervento, così il lavoro di ACAMM: i popoli del Meridione sono passati dalla loro cultura arcaica, fatta di miseria e dolori, ad essere travasati di idee, di modi di vivere, di musiche, di colori e di tessuti, di abiti che non gli appartenevano. Per cui, credo, che per molti anni ci sia stata una frattura fra l’antico e il moderno. L’arte, secondo me, può essere il filo giusto per legare il passato con il presente, che domani dovrebbe anche, speriamo, diventare un futuro. Il lavoro che sta facendo Peppino Appella, folle, come tutti gli artisti folli, credo dia delle radici importanti, che non fioriranno oggi, non fioriranno domani ma, sicuramente, fra pochi anni fioriranno. Già le persone eccellenti che mi hanno preceduta, hanno sottilineato il fatto che questa cultura ha portato lavoro. Dicevano che la cultura non da denaro, ma quando si facevano le grandi cattedrali si dava da lavorare a centinaia, migliaia di pretrai, mosaicisti, stuccatori e pavimentatori. La cultura è la base del denaro e, se non c’è cultura, anche il denaro è astratto, è un cumulo di monete d’oro. Che ci fai se non lo fai diventare realtà? La cultura, di cui gran parte di ignoranti parla male, è una grande realtà, soprattuto per il nostro paese”.
Pittrice e scultrice dal temperamento inquieto, Antonietta Raphaël (Kaũnas, Lituania, 1895 – Roma 1975) è stata definita “La signora bizzarra venuta dal ghetto baltico”, in quanto attraverso un vibrante e corposo realismo, ha dato vita a suggestioni fondamentali per lei e la cultura italiana del Novecento, dal sensualismo plastico di Rodin al primitivismo di Jacob Epstein. Dopo essersi diplomata in pianoforte nel 1915, presso la Royal Academy di Londra, Raphaël è a Roma dove sposa nel 1935 Mario Mafai. In un’intervista, la pittrice scherzosamente confessa: “Venni in Italiacon progetti di ogni genere… anche quello di divertirmi… invece sposai Mafai”. Con Scipione e Mario Mafai, l’artista lituana fonda la Scuola di Via Cavour, fulcro della futura Scuola romana, di opposizione al novecentismo ufficiale e quindi lontana dal ritorno all’ordine, dal recupero della tradizione primitiva e rinascimentale, secondo premesse già espresse dalla pittura metafisica e dal realismo sintetico di Severini. Le prime opere pittoriche della Raphaël mostrano di risentire dell’influenza di Soutine, Chagall e i Fauves: la città e la sua veste architettonica sono tra i soggetti privilegiati dalla pittrice (Colosseo, Passeggiata archeologica, l’arco di Settimio Severo) secondo quello che Mezio ha definito un romanismo contaminato da un folklore orientale che trova conferma in un successivo giudizio di Moravia: “Curiosamente Roma, città museo sede di cento accademie dedicate al defunto classicismo umanistico, è diventata nei dipinti della Raphaël zingaresca, orientale, evanescente” (1971). Il “sapore prettamente russo”, tendente all’arabesco “di gusto arcaico e popolaresco”, oltre che il respiro internazionale e la portata innovatrice, quali doti oggettivamente apprezzati dalla critica, non coincideranno con le poche occasioni espositive della Raphaël, forse per un eccesso di esotismo. A partire dal 1930 l’artista si dedica intensamente alla