Picchiare la moglie per educarla. Non si fa!
I fatti che vi raccontiamo risalgono al 2009, ma hanno dell’incredibile e tanto vale ritornare sulla vicenda. Non sconvolge la decisione della cassazione, ma fa specie e fa riflettere la linea difensiva di un uomo di 51 anni del torinese. Picchiare la propria moglie, o convivente, per educarla a diventare una brava donna di casa, esperta nella “gestione” domestica, è un delitto che non consente alcuno sconto di pena su richiesta dell’uomo violento autore consapevole di un simile comportamento. Quello che nella sostanza la Corte di Cassazione ha stabilito. Marito o compagno non trovano giustificazione nell’adottare tale metodo di gestione del rapporto di coppia ne tanto meno può invocare le circostante attenuanti di aver agito così per finalità “educative”. Una sentenza che ha dell’incredibile, non tanto per il dispositivo quanto per il contenuto del ricorso presentato da Domenico G., un uomo di 51 anni, che maltrattava con percosse e lesioni la sua convivente. La suprema corte dunque ha confermato la condanna (sentenza numero 32843) con rito abbreviato a un anno e sei mesi di reclusione già inflitta dalla corte d’Appello.
L’uomo, che ha sempre ammesso gli episodi continuati di violenza, ha sostenuto che il suo obiettivo era quello di “indurre la sua compagna ad osservare regole di comportamento ispirate ad un modello ideale di gestione familiare”. Per questo Domenico G. faceva presente di non aver mai voluto “vessare ed umiliare” la sua compagna, ma solo “educarla”.
Ma questa tesi difensiva, sostenuta fin dal processo di primo grado, e poi innanzi alla corte d’Appello di Torino, è stata totalmente respinta dalla corte di Cassazione che ha fatto presente all’imputato che il “fine educativo” di questo “comportamento” non può in alcun modo attenuare la condanna. Così il ricorso di Domenico G. è stato dichiarato inammissibile con condanna al pagamento di mille euro alla Cassa delle ammende.