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Quel maledetto 1 maggio 1994

Il 1 maggio, per chi ama lo sport in generale, è una data triste, anzi tristissima. Diciassette anni fa ci lasciava Ayrton Senna, forse il più grande pilota di F1. Un campione assoluto, ricordato in mille trasmissioni televisive, sportive e non, per ammirare la persona e, poi, lo sportivo. Ancora oggi, dopo 17 anni, ci sono tanti interrogativi sulla sua morte che neanche svariati processi penali sono riusciti a emettere un giudizio. La gente che ama lo sport vuole chiarezza, vuole capire cosa sia potuto succedere quel maledetto 1 maggio 1994 a Imola, durante il GP di San Marino. Speriamo di averle delle risposte esaustive, anche se, purtroppo, non serviranno a riportare in vita un asso autentico del volante, un vero campione.

Quel weekend a Imola era nato sotto una stella terribile, agghiacciante. Il venerdì, durante le prime prove, Rubens Barrichello, allora pilota della Jordan Peugeot, si schiantò a 220 km/h alla Variante Bassa. Barrichello se la cavò solamente con la frattura del setto nasale e qualche escoriazione al braccio. Ma il giorno dopo successe di peggio. Il pilota austriaco della Simitek Ford, Roland Ratzemberger, al suo primo anno in Formula 1, morì a causa del cedimento di un baffo dell’alettone anteriore mentre percorreva la curva Villeneuve alla velocità di 300 km/h. Come è noto, la legge italiana penale prevede che il teatro di una manifestazione sportiva dove sia avvenuto un evento mortale debba essere sequestrato. Quel Gran Premio del giorno seguente, quindi, non si sarebbe dovuto disputare; si svolse solo grazie alla ‘circostanza’ che Ratzemberger non era morto sul circuito, bensì sull’ambulanza, mentre veniva portato in ospedale. Un cavillo, questo, che permise ai giudici di far partire ugualmente la gara in cui Senna morì. Il brasiliano quel giorno era stranamente teso, come se avvertiva nell’aria che qualcosa non andava come al solito. Lo sorreggevano solo la fede profonda e la voglia di vincere. Sesto senso? Era profondamente dispiaciuto per la morte di Ratzemberger e aveva in mente di denunciare le condizioni di estrema pericolosità di molti circuiti, perché in ballo c’era la vita. Partiva dalla pole position, una delle sue 65 totali (in 162 GP disputati, numeri paurosi) ed accanto a lui c’era Micheal Schumacher, campione del mondo in carica e leader del mondiale. Al settimo giro, il piantone della sua Williams Renault, modificato manualmente per la gara, cede improvvisamente e Ayrton perde il controllo della vettura, lanciata a 300 km/h sul rettilineo precedente la curva del Tamburello. Le conseguenze furono tragiche; il pilota carioca diventa un semplice passeggero impotente in una monoposto ormai ingovernabile; tenta vanamente di frenare, ma la via di fuga in quel punto del circuito offriva spazi ridottissimi. Poi, l’impatto, violentissimo, contro il muro di cinta. Il puntone della sospensione anteriore destra perforò sia il casco che il cranio di Senna. Ma anche senza il puntone, per lui, comunque, non ci sarebbe stato nulla da fare, perché l’impatto già gli aveva causato la frattura della base cranica e dell’osso frontale. Prima di impattare contro il muro, Ayrton era primo: ci ha lasciati da vincitore.

Molti quel giorno hanno versato lacrime di dolore, me compreso. Ho iniziato ad appassionarmi alla F1 vedendo questo fenomeno, che è diventato il mio idolo indiscusso. Uno sportivo con la vittoria nel DNA. Non ci stava mai a perdere, diceva sempre che “il secondo è il primo dei perdenti”; quando voleva vincere, non c’era storia, faceva a sportellate con tutti. In Brasile, sua terra natale, era un idolo e un simbolo nazionale incontrastato. Vennero addirittura proclamati tre giorni di lutto nazionale, e numerosi fans arrivarono perfino al suicidio. Durante i Mondiali di Calcio americani di quell’anno, ci fu la finale Italia-Brasile. La gara si risolse ai calci di rigore. L’ultimo penalty fu di Roberto Baggio che, purtroppo, tirò alto. Il portiere brasiliano Taffarel, dopo l’errore del “Divin Codino”, alzò lo sguardo verso il cielo e cominciò a piangere. Dopo la gara spiegò che Ayrton Senna, da lassù, aveva deviato la traiettoria del pallone sopra la traversa. Stirling Moss, ex pilota e ‘santone’ della F1, disse:”Senna è il più grande pilota che abbia mai visto in F1, l’unico davvero in grado di competere con Fangio e Clark”. Lontano dai ‘riflettori’, “Magic” (questo il suo soprannome) era una persona generosa, e destinava molti proventi per la sua fondazione, per la gente meno fortunata. Oggi in Brasile esiste un’organizzazione umanitaria che porta il suo nome, e che aiuta i bambini cresciuti per strada. Questi brevi anni quando Ayrton Senna, Mansell, Prost e Piquet si battevano con le unghie e con i denti per stare ognuno davanti all’altro, sembrano ora così lontani, probabilmente, non torneranno più. Per il suo carattere, Ayrton è sempre stato attaccato soprattutto da quei piloti che si sentivano minacciati dal suo talento. Primo fra tutti il connazionale Nelson Piquet, che non perdeva occasione per gettare fango sul suo nome, oppure il francese Alain Prost che, spalleggiato dalla federazione, lo riteneva un pilota pericoloso. Eppure Senna, durante il weekend imolese, mandò un messaggio via radio proprio al transalpino: “Ciao Alain, mi manchi”. Prost rispose con un “buona fortuna, Ayrton”. Vorrei solo rammentare un ultimo particolare, che mi ha colpito particolarmente: nella monoposto di Senna è stata trovata una bandiera austriaca. Il brasiliano infatti, una volta salito sul podio, avrebbe voluto esporla in ricordo del compagno Roland Ratzenberger. Lo hanno spesso umiliato, preso in giro per le sue professioni religiose e per le sue presunte abitudini sessuali, lo hanno incolpato di nefandezze varie e di sconfitte clamorose, lo hanno definito “scorretto, sleale, spregiudicato, mistico”.

ERA SEMPLICEMENTE IL MIGLIORE DI TUTTI.

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