Riflessione dell’arcivescovo di Matera-Irsina, alla ripresa dei lavori sinodali nella Concattedrale di Irsina
Carissimi, dopo la sospensione per il tempo estivo, ci ritroviamo insieme, come assemblea sinodale, nella nostra concattedrale di Irsina, nel cuore dei festeggiamenti in onore di S. Eufemia, patrona di questa nobile città e compatrona dell’Arcidiocesi, per riprendere i nostri lavori con l’XI sessione.
Stiamo portando avanti, merito del vostro impegno costante e del vostro indispensabile contributo, un lavoro con l’intento di agire e operare per il bene della nostra Chiesa. La riflessione e il contributo della Commissione teologica sinodale (esprimo a nome di tutti la gratitudine) sta elaborando le sintesi di ogni sessione che al momento opportuno saranno sottoposte ad ulteriore discussione e votazione. In tutto questo tempo l’impegno profuso dal Segretario, Mons. Filippo Lombardi, e dalla Segreteria, si sta rivelando decisivo e fondamentale per il prosieguo del lavori sinodali. Grazie di cuore.
Mi permetto ripartire da un concetto fondamentale che per taluni, laici, consacrate e facenti parte del clero, non è per nulla scontato. Ripartiamo dall’etimologia del termine Sinodo: syn (con, insieme) e odos (strada, cammino). Quindi: camminare insieme per costruire un’assemblea. Nella Bibbia dei Settanta si trova un altro termine simile: ekklesia (ek-kaleo) che traduce il termine ebraico qahal, che indica la convocazione o l’assemblea divina. Negli scritti greci dei Padri della Chiesa synodos viene trascritto in latino con synodus ed è sempre usato per dire concilium (cum – calere: camminare insieme).
L’etimologia del termine ci dice quanto sia importante l’aspetto comunionale e quello missionario. E’ a questo che ormai da tempo la Chiesa italiana, soprattutto con Papa Francesco, è continuamente chiamata attraverso un cammino sinodale permanente. Basterebbe rileggere l’ultimo Convegno ecclesiale della Chiesa italiana di Firenze.
Una Chiesa Diocesana che non si interroga, non si confronta, non fa discernimento, si limita solo a redigere norme e precetti per regolarizzare la vita sacramentale, la prassi burocratica, imponendo divieti o concedendo permessi. Questo tipo di Chiesa, che non è frutto di preghiera, di ascolto della Parola e del magistero della Chiesa, mira al ritualismo e a forme di esteriorità senza leggere i segni dei tempi e senza ascoltare la voce dello Spirito Santo che parla e soffia nella Chiesa. Ci si divide tra tradizionalisti e progressisti come se la verità possa essere prerogativa degli uni o degli altri. Ma la Verità è una sola: Gesù Cristo. E’ da lui che bisogna ripartire. E’ lui il programma pastorale. E’ lui che continua a parlare nel tempo che siamo chiamati a vivere senza lasciarci vivere dal tempo.
Il Sinodo che stiamo celebrando non è teso alla elaborazione di un progetto pastorale altro che miri a risistemare eventuali criticità all’interno della nostra Chiesa di Matera–Irsina, ma è da intendersi piuttosto come un momento propizio per ritornare a cogliere il disegno della storia della salvezza che la Sacra Scrittura ci riporta. Questo significa che il Sinodo sottende significati teologici importanti e fondamentali. Il camminare insieme dei discepoli con Gesù, che è la Via, e nello stesso tempo la condizione pellegrinante di tutto il popolo santo di Dio richiamano alcuni dei significati teologici.
Alla luce di queste considerazioni si può dire che vivere la sinodalità significa fidarsi di Gesù e del Vangelo, significa camminare con Gesù, vino nuovo, come Chiesa desiderosa di accogliere nei suoi otri nuovi lo stesso messaggio di ieri, di oggi, per sempre, significa una Chiesa in uscita che cammina con gli uomini di questo tempo affinchè insieme, come già tante volte abbiamo ripetuto, si possa guardare verso l’Oltre e verso l’Altrove.
Questo è lo spirito sinodale: profonda e ampia collaborazione tra vescovo e presbiteri, tra religiosi e laici non per interessi personali, di parte o parrocchiali. Siamo l’unica Chiesa di Cristo! Con questo spirito non possiamo cercare il plauso o la visibilità personale, ma promuovere la Chiesa Diocesana sentendo forte il senso di appartenenza. Sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune dei fedeli nella comunione, nel dialogo fraterno e schietto, nel progettare invocando la forza dello Spirito Santo, con animo contrito e penitente ma nello stesso tempo con quella sapienza che connota, nelle diversità e identità, la vita dei figli di Dio, ci connota come fratelli dell’unica famiglia che è la Chiesa in cammino verso la patria eterna, verso Dio, Uno e Trino.
Una Chiesa che ascolta ed è ascoltata, una Chiesa capace di favorire l’ascolto al suo interno, tra i suoi figli, è il tratto distintivo di una Chiesa in cammino. Nell’era digitale e delle nuove tendenze della comunicazione, paradossalmente, ciò che manca è la capacità di ascoltarsi. Non dobbiamo lasciarci travolgere dal virtuale ma, mentre facciamo saggiamente uso delle nuove tecnologie, dobbiamo coltivare la nostra identità: essere persone capaci di relazionarsi guardandosi negli occhi.
Ripensando ai due discepoli di Emmaus riaccendiamo l’entusiasmo ma anche lo stupore tipico di chi ha incontrato realmente il Signore risorto. Facciamo nostre le parole di Paolo: “Poiché l’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro.” (2 Cor 5,14). E’ da questa esperienza che scaturisce il nostro agire e operare nella Chiesa e per la Chiesa. E’ un’urgenza.
«La “sinodalità”, perciò, ha una tensione maggiore della “collegialità”: quella infatti si riferisce a pastori e fedeli in forza della relazione di comunione che si crea con il battesimo fra tutti i rigenerati in Cristo; questa invece comprende tutti e solo i vescovi in virtù del sacramento dell’ordinazione episcopale e della comunione con il collegio episcopale» (Angel Antón, Strutture sinodali dopo il Concilio. Sinodo dei vescovi – Conferenze episcopali, in «Credere Oggi», 13 [1993/4], 91).
In questo spirito il cammino sinodale aiuta a capire quello che è il “progetto del Dio trinitario che ha deciso di incamminare la famiglia umana sulle vie dell’umanizzazione sempre crescente, dell’alleanza con lui sempre più intima e raffinata”.
Inoltre la sinodalità ci aiuta a fare memoria di un passato molto vicino a noi: non è una Chiesa che inizia ora la sua Storia. La grazia che ha animato, sostenuto e illuminato questo cammino è la stessa profezia che anima, sostiene e illumina una Chiesa che ancora oggi non è arroccata e chiusa in se stessa ma continuamente aperta all’azione dello Spirito Santo. Una Chiesa in uscita che sa dialogare, confrontarsi ed annunciare, con fiducia e speranza la forza dirompente del Vangelo.
Carissimi, stiamo portando avanti un impegno che ci sta vedendo sempre più coinvolti, nonostante momenti di stanchezza, di sconforto sapendo che questo lavoro è solo l’inizio del vero e proprio cammino, guardando fiduciosi al futuro.
Il messaggio di Papa Francesco per il Mese Missionario Straordinario dell’Ottobre 2019 ha come tema: “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo”. Riporto un passaggio: Una Chiesa in uscita fino agli estremi confini richiede conversione missionaria costante e permanente. Quanti santi, quante donne e uomini di fede ci testimoniano, ci mostrano possibile e praticabile questa apertura illimitata, questa uscita misericordiosa come spinta urgente dell’amore e della sua logica intrinseca di dono, di sacrificio e di gratuità (cfr 2 Cor 5,14-21)! Sia uomo di Dio chi predica Dio (cfr Lett. ap. Maximum illud). È un mandato che ci tocca da vicino: io sono sempre una missione; tu sei sempre una missione; ogni battezzata e battezzato è una missione. Chi ama si mette in movimento, è spinto fuori da sé stesso, è attratto e attrae, si dona all’altro e tesse relazioni che generano vita. Nessuno è inutile e insignificante per l’amore di Dio. Ciascuno di noi è una missione nel mondo perché frutto dell’amore di Dio. Anche se mio padre e mia madre tradissero l’amore con la menzogna, l’odio e l’infedeltà, Dio non si sottrae mai al dono della vita, destinando ogni suo figlio, da sempre, alla sua vita divina ed eterna (cfr Ef 1,3-6).
Il Sinodo, fino a questo momento, ci ha detto cose molto significative vedendoci impegnati su questi fronti:
- Stiamo analizzando, passo dopo passo, lasciandoci guidare dall’instrumentum laboris, la situazione attuale della nostra Chiesa di Matera – Irsina. Tante cose positive da incrementare, tante altre da correggere, altre ancora fuorvianti.
- Stiamo maturando delle scelte, sotto l’azione dello Spirito Santo, nella preghiera quotidiana dei confratelli presbiteri, dei diaconi, delle religiose e dei religiosi, di tante sorelle e fratelli, di gruppi, comunità, associazioni, cammini di fede, con uno sguardo rivolto verso l’oggi dell’uomo per leggere il disegno di Dio. Sarebbe molto riduttivo arrivare solo ed esclusivamente a mettere per iscritto delle normative da attuare. Non si tratta di fare delle cose ma delle vere e proprie scelte in un processo di cambiamento missionario: se ne avverte sempre di più l’urgenza.
- Ci stiamo rendendo conto che non si tratta nemmeno di avere idee chiare a livello teorico per progettare strategie pastorali, bensì di entrare nella consapevolezza di essere Chiesa, sapendo gioire e soffrire per amore di Cristo e della stessa. Da questo amore scaturisce il desiderio di essere Chiesa in uscita.
Non dimentichiamo che Papa Francesco nell’Evangelii gaudium ci esorta a coltivare la passione missionaria che ci caratterizza affinchè una nuova evangelizzazione, in un mondo in continua e repentina trasformazione e che richiede di essere ascoltato, accolto, sostenuto, incoraggiato, guidato, si realizzi.
Rimeditando sul brano dei discepoli di Emmaus (Lc 24), ci rendiamo conto che non basta parlare a Gesù. Se non abbiamo davvero la percezione di camminare con Gesù, lasciandoci infiammare il cuore dall’ardore che solo il Risorto può suscitare e che trova il suo culmine e la sua fonte nell’Eucaristia, non si realizza la passione missionaria che ascolta, accoglie, sostiene, incoraggia, guida. E’ lo spezzare del pane consacrato che rimette in piedi e ridona quell’energia necessaria per essere come Gesù ci vuole: essere lui stesso.
Anche noi stiamo rivivendo l’esperienza della Chiesa di Gerusalemme che, riunitasi in assemblea, come gli Apostoli e gli anziani discutiamo insieme (cfr. At 15,12). “C’è voluto del tempo – il tempo dell’esperienza ampia descritta nei primi 15 capitoli degli Atti – perché il seme del Vangelo attecchisse, crescesse e maturasse nel cuore dei discepoli. È stata una storia di iniziative, equivoci e (in)comprensioni successive, che il Signore stesso ha portato avanti in prima persona. Dio è Signore della storia. Sua fatica è aprirci gli occhi perché vediamo la realtà invece delle nostre idee, ossia dei nostri idoli. Il cammino è stato lungo e graduale. La prima Chiesa è tutta di Giudei, uguali agli altri, che però credono Gesù come l’inviato di Dio. Ad essi sono assimilati i proseliti. I primi pagani convertiti probabilmente si facevano anche circoncidere. Successivamente, proprio ad Antiochia, non si impose più la circoncisione e l’assimilazione culturale ad Israele. Sono “giustificati mediante la fede in Gesù Cristo” (Gal 2,16; At 13,39): “Dio purifica i loro cuori mediante la fede” (At 15,9)” (Atti degli Apostoli, p. Guido Bertagna e p. Silvano Fausti, 11 marzo 2013).
Infatti, una Chiesa che ha il coraggio di affrontare le nuove sfide, cercando un discernimento comune, è lo stile che consente allo Spirito Santo di guidare, sostenere e suggerire. Anche noi vogliamo arrivare a dire: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi» (At 15,28).
Se questo, da sempre, è lo stile della Chiesa dobbiamo continuare a guardare avanti fiduciosi. Papa Francesco ci è di grande esempio. Rientrando in Italia dal suo ultimo viaggio missionario in terra d’Africa, ha limpidamente detto, com’è nel suo stile, «Non ho paura degli scismi, prego perché non ce ne siano, perché c’è di mezzo la salute spirituale di tanta gente, che ci sia il dialogo, che ci sia la correzione se c’è qualche sbaglio, ma il cammino nello scisma non è cristiano».
Lo stile sinodale, rispettando i ruoli, i carismi, la ministerialità, si mette a servizio della Chiesa. In questo caso della nostra Chiesa locale. E’ quanto stiamo facendo, se pur a volte con fatica e con non poche difficoltà ad intra e ad extra. Ma dobbiamo anche dire, con altrettanta verità, che quanto si sta facendo fa superare quei muri che a volte appaiono insormontabili, perché ciò che caratterizza il nostro operare è la forte “fede” nel percorso sinodale. Se non fosse così tutto sarebbe scontato e invece Dio permette le critiche, le fragilità, perché sono necessarie per vagliare al meglio quanto il Signore ci sta chiedendo.
Non perdiamoci d’animo. Papa Francesco, ricevendo i Missionari d’Africa (Padri Bianchi) e le Suore Missionarie di Nostra Signora d’Africa (Suore Bianche), in occasione della celebrazione del 150° anniversario della fondazione della Società dei Missionari d’Africa e della Congregazione delle Suore Missionarie d’Africa, nella Sala Clementina, l’8 febbraio 2019 dice: “Lo Spirito faccia di voi dei costruttori di ponti tra gli uomini. Là dove il Signore vi ha mandati, possiate contribuire a far crescere una cultura dell’incontro, essere al servizio di un dialogo che, nel rispetto delle differenze, sa trarre ricchezza delle diversità degli altri”.
Riprendo ancora un pensiero del messaggio di Papa Francesco per il Mese Missionario Straordinario dell’Ottobre 2019 quando dice: La nostra appartenenza filiale a Dio non è mai un atto individuale ma sempre ecclesiale: dalla comunione con Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, nasce una vita nuova insieme a tanti altri fratelli e sorelle. E questa vita divina non è un prodotto da vendere – noi non facciamo proselitismo – ma una ricchezza da donare, da comunicare, da annunciare: ecco il senso della missione. Gratuitamente abbiamo ricevuto questo dono e gratuitamente lo condividiamo (cfr Mt 10,8), senza escludere nessuno. Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi arrivando alla conoscenza della verità e all’esperienza della sua misericordia grazie alla Chiesa, sacramento universale della salvezza (cfr 1 Tm 2,4; 3,15; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 48).
A Maria, la nostra Madonna della Bruna, affidiamo il cammino sinodale della nostra Chiesa. La Vergine della visitazione ci solleciti ad uscire dal chiuso delle nostre presunte sicurezze o paure, per metterci in movimento sapendo di portare nella nostra carne quella presenza divina, che nell’Eucaristia ci fa essere una cosa sola con Cristo.
A S. Eustachio e S. Giovanni da Matera chiediamo protezione.
“Con S. Eufemia vogliamo riprenderci il nostro Credo, meditarlo, annunciarlo e mostrarlo con la nostra vita.
Chiediamo a lei, come i Padri conciliari di Calcedonia, che ci aiuti ad uscire dalla confusione dei tanti insegnamenti fuorvianti che bussano alle nostre porte ed essere orgogliosi di appartenere a Cristo e alla sua Chiesa.
Noi tutti, carissimi fratelli e sorelle, siamo chiamati, sull’esempio dell’amata e venerata S. Eufemia, ad essere come luce che splende soprattutto nei luoghi di buio, di confusione, di smarrimento; come sale che dà sapore ad una vita troppo spesso disprezzata, parcheggiata in luoghi di solitudine, scartata. Lasciamo che il linguaggio dell’amore parli con le azioni, con le opere più che con le parole. Lasciamo che la nostra preghiera salga a Dio copiosa attraverso una presenza assidua facendoci prossimi degli ammalati, degli anziani, dei giovani spesso scoraggiati e delusi. C’è bisogno di vicinanza per riscoprire che il vero amore è preghiera quando si traduce in condivisione, nel camminare insieme, con gioie e dolori, attese e speranze.
- Eufemia con la sua fede vera e autentica ha saputo testimoniare fino all’ultimo respiro l’amore per Dio e per gli altri. Aveva ben capito che non si può amare Dio senza amare i fratelli” (Dal mio messaggio scritto agli irsinesi per la festa di S. Eufemia).