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Riflessioni sul problema emergenziale scaturito dopo la pandemia COVID-19

La pandemia ha bloccato il mondo, e abbiamo visto come le varie organizzazioni hanno reagito al problema.

In primis l’OMS, che ha avuto la parte del leone, nel fornire regole e prescrizioni, e consigliare i vari governi nella gestione sanitaria.

Credo abbia fatto la sua parte, pur ritardando l’intervento e magari con una maggiore decisione degli interventi, avrebbe permesso di contenere al minimo la moria di persone.

Ora il problema è economico, dove la finanza lascia parecchi miliardi di euro sul piatto, rappresentato da indici finanziari in costante perdita, ma che ha già preso le contromisure.

Le varie organizzazioni mondiali, l’Europa stessa, ha capito che occorra una serie di interventi, necessari a far ripartire l’Economia. Ma la complessità della materia, ha fatto esplodere in maniera esponenziale vari aspetti: la disoccupazione, il Pil interno ed internazionale, la capacità di spesa e la produzione, determinati da un “fermo irreale dell’economia” . Vorrei però esprimere, in una serie di interventi, alcune mie riflessioni “inedite” sui vari argomenti. Che possano essere dei suggerimenti ai nostri politici, forse anche tardivi, ma ritengo necessari e realizzabili se ci si mette un po’ di volontà.
Oggi vi parlerei del lavoro, e delle iniziative prese dai vari governi.

Con una disoccupazione galoppante, ed una incapacità delle attività pubbliche e private ad attuare forme di smartworkingattive, il ricorso alla Cassa Integrazione in deroga è un viatico alle problematiche che ci sono e che nasceranno in questi mesi.

Soluzioni ibride, come la Cassa Integrazione in deroga non fanno altro che ritardare il problema, nell’ipotetica speranza che ci sia una ripresa. Nel frattempo il PIL cala, i prezzi aumentano determinando una minore capacità d’acquisto del consumatore.

Lo stesso è fortemente indeciso, visto lo stato evolutivo della pandemia e dei potenziali rischi futuri, e riduce la sua propensione alla spesa. Di fatto non mette in circolazione denaro, creando un corto circuito che si ribalta sulla produzione e sul mercato del lavoro.

Credo che le nostre autorità abbiano sbagliato a voler utilizzare uno strumento, che viene utilizzato per situazioni emergenziali, ma che non determina alcuna sicurezza nei lavoratori, nella propensione al consumo e nella programmazione agliinvestimenti.

Abbiamo bisogno di uno strumento di più ampia e diffusa risonanza, che sicuramente porta a maggiori costi, ma che offre un periodo maggiore di stabilità e di risultati.

Parlo dei contratti di solidarietà.

Nati per fronteggiare situazioni di esubero di personale (situazione in cui paradossalmente oggi ci troviamo), situazioni di crisi d’impresa, dove lo Stato diventa socio dell’impresa per un periodo limitato. Parliamo di un intervento in cui lo Stato muove passi direttamente nella gestione delle imprese, non sostituendosi alle imprese, ma affiancandole. Garantendo oltre tutto il lavoro di tutti, per un periodo di massimo 2 anni, che credo possa essere giusto per riavviare quel processo virtuoso a cui vogliamo tutti arrivare.

La solidarietà appunto, che forse oggi non viene percepita, visti i ritardi nei pagamenti dei lavoratori per forse una burocrazia fin troppo lenta ed ingessata.

Una solidarietà che non si manifesta, anche per la differenza tra il settore pubblico e privato. Guardate bene, ma le 100 euro maturate nel pieno del periodo Covid-19 sono state regolarmente e puntualmente pagate nel pubblico e difficilmente elargite nel settore privato, fatte le dovute eccezioni di alcuni imprenditori mecenati.

Il pubblico non si è fermato, salvo ricorrere al paliativo del smart working, ma con quali risultati??? Il personale privato è voluto rientrare al lavoro, anche sfruttando la cassa integrazione in deroga e ricorrendo a degli artefizi, ma ha dovuto e voluto essere presente nelle fabbriche, nei negozi, negli uffici, perché altrimenti rischiava e rischia il lavoro.

Ecco la mia proposta:

Contratti di solidarietà per tutti i lavoratori del privato, o quantomeno quelli che attualmente hanno la cassa integrazione in deroga. Calibrare gli interventi e determinare, anche caso per caso, la percentuale di intervento della solidarietà.

Ripeto l’intervento dello Stato è rappresentato da una percentuale di contribuzione al lavoratore, per cui su un monte ore giornaliero di 8, l’intervento dello Stato può essere per 3, 4 o 5 ore al giorno, lasciando all’imprenditore il pagamento delle ore residue. L’imprenditore avrebbe tutti i lavoratori occupati, senza alcuna distinzione, motivati a salvaguardare i posti di lavoro, non avrebbe cali di produzione e di servizi poiché garantiti dal numero dei dipendenti. Avrebbe una diminuita spesa per il personale, rappresentato appunto dalle ore di sua spettanza, oltre ai costi previdenziali e contributivi, limitatamente alle ore di competenza. Riuscirebbe a garantire i livelli produttivi, il livello dei servizi e poter far fronte agli impegni programmati.

I dipendenti vedrebbero salvi i propri stipendi nel periodo dei due anni, e quindi garantendo i livelli di spesa che favoriscono una ripresa dei consumi a vantaggio delle aziende. Un periodo, a questo punto, soddisfacente, che mette al riparo da ulteriori crisi, consentendo di fatto di programmare con maggiore fiducia.

Questa potrebbe essere una grande iniezione di fiducia, che garantisce nel breve i livelli essenziali, ma consente con ragionevole tranquillità di affrontare un periodo di recensione.

Un ulteriore dato è quello dell’impossibilità di licenziare. Le aziende che aderiscono ai contratti di solidarietà sono obbligate a mantenere i livelli occupazionali, garantendo tutti i lavoratori.

Io sarei per consentire tempi e modi diversi a seconda delle necessità delle imprese. Avremo infatti aziende che non avranno necessità per tutto il periodo a ricorrere ai contratti di solidarietà, e aziende che non necessiteranno di copertura di tante ore di solidarietà da parte dello Stato. Sicuramente questo porterà ad un minor impegno finanziario, facendo leva sulla voglia di superare velocemente l’ostacolo oggi rappresentato dal Covid-19 e dal celato desiderio del popolo italiano di affrontare con orgoglio le difficoltà. Il rischio maggiore, che il tutto si traduca in un assistenzialismo diffuso, ma che non porterà sicuramente a risultati utili per la collettività.

Una sana economia, basata sul lavoro, l’ottimizzazione delle risorse ed il giusto connubio tra pubblico e privato, può essere l’unica soluzione ad un “miracolo italiano”.

Natale Lucarella

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