Sabato la presentazione del nuovo libro di Franco Sabia
‘Gli Aviglianesi’ di Franco Sabia, è il titolo del libro che sarà presentato sabato 30 aprile 2016, alle 17, nella Sala Conferenze della Biblioteca Nazionale di Potenza. Il lavoro di ricerca, basato sulla documentazione d’archivio del Fondo Doria e del Fondo Intendenza, presenti nell’Archivio di Stato di Potenza, integrata dagli studi di carattere generale, riferiti al Regno di Napoli, prodotti nell’ultima parte del secolo scorso, ricostruisce la particolare storia della comunità degli Aviglianesi, ponendo al centro di quelle vicende l’azione di colonizzazione interna di lungo periodo dei feudi disabitati di Lagopesole, Casalaspro, Lavangone e Torella .
Quella particolare storia aveva già colpito per la sua singolarità, alla fine del XIX secolo: uno spirito attento, nonché storico scrupoloso, come Giacomo Racioppi che, nel dare alle stampe la sua Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata (1889), sconfortato dalla constatazione storica che dal 1276-77 (trascrizione del Cedulario angioino) al 1442 (arrivo degli Aragonesi sul trono del Regno di Napoli), più di 50 centri abitati erano letteralmente scomparsi, esclamava: Quale intima e ignota ragione di storia ha potuto portare sì alto, fino a 20 mila abitanti oggidì, il paese di Avigliano, che allora [1276/1277] noverava non più di 16 fuochi …?.
L’Autore indaga quella intima e ignota ragione di storia a partire dall’epoca di Carlo V, (re di Spagna, dei Paesi Bassi e delle Americhe e Imperatore di Germania e di quel che restava del Sacro Romano Impero d’Occidente), che rappresenta una svolta per l’intera storia d’Europa e di conseguenza anche del Regno di Napoli e dei suoi singoli feudi, compresi quelli che, da quel momento in poi, costituiranno la nazione aviglianese.
Il lavoro evidenzia come i fatti e le decisioni della macro storia hanno avuto un’influenza diretta, anche, sulle vicende minori come fu per la comunità degli Aviglianesi; ricostruisce il particolare rapporto tra gli Aviglianesi e il nuovo feudatario mandato da Carlo V, il genovese Andrea Doria; documenta la determinazione progettuale di quella comunità che fa della propria capacità di faticare un elemento decisivo per irrobustire la propria forza economica ben oltre i ristretti confini del proprio ducato, quello di Avigliano appunto, e di mettere a ferro e a fuoco i 4 grandi feudi che lo circondavano; sottolinea i vari passaggi della nascita e della crescita di una singolare classe dirigente, che per un lungo periodo (1442-1812) guida la lotta antifeudale della propria comunità privilegiando le leve del diritto a quelle della rivolta, scegliendo, come avrebbe detto Antonio Gramsci, la lotta di posizione a quella di sfondamento.
Quella classe dirigente, sin dalla metà del 1500, impara a costruirsi strumenti legali, come l’acquisto, a suon di ducati d’oro, di un avanzato Statuto comunale e la conquista di una singolare Convenzione, detta del Cavallone, per erodere lentamente, ma inesorabilmente, il potere assoluto del feudatario di turno.
Di quel nucleo pensante, Franco Sabia ricostruisce l’origine e la provenienza, la formazione, le azioni e gli obiettivi politici; ne evidenzia le capacità di rappresentare gli interessi generali dell’intera comunità e i loro punti deboli; ricostruisce le sue aspirazioni politiche innovative e in qualche momento rivoluzionarie, e i suoi egoismi.
Nelle intenzioni, almeno, questa storia degli Aviglianesi non intende essere una banale storia municipale fatta di santi, di eroi e di navigatori, ma una storia sociale di una piccola comunità che quando mette al centro delle proprie azioni la difesa degli interessi generali, quando costruisce strumenti legali di difesa degli interessi collettivi, riesce ad ottenere vittorie e vantaggi che si riverberano nella sua crescita demografica e nel suo benessere economico che coinvolge tutti gli strati della società, i cui maggiori benefici rafforzano proprio quella classe dirigente, intelligente e coraggiosa. I valori identitari che, nel periodo trattato, si consolidano, sono costruiti sulla scelta di porre al centro della propria lotta di emancipazione gli interessi generali e l’eticità del lavoro; il valore etico della dignità della persona umana e della parola data.
Quell’identità è sostanziata, anche e, soprattutto, dalla capacità di quella straordinaria classe dirigente, di stare nel fiume innovatore della storia fondata sulla conoscenza e sulla consapevolezza di ciò che stava succedendo intorno a loro, ben oltre i piccoli confini della loro nazione; su ciò che succedeva a Napoli, ma anche ciò che succedeva fuori del loro Regno e, soprattutto, su ciò che succedeva nella Francia colta e innovatrice.
Quanto l’Autore ricostruisce e documenta, è la risposta a quell’ignota ragione di storia che tanto aveva colpito il grande storico di Moliterno e che può costituire un nuovo inizio per una comunità che ha significato molto per questa regione e non solo.