Saverio Pepe chiude la rassegna ‘Argojazz’
Cala il sipario su Argojazz edizione 2016. Ieri, al Porto degli Argonauti di Marina di Pisticci, l’ultimo evento in cartellone con l’esibizione di Saverio Pepe accompagnato dalla sua band.
La formazione musicale di Saverio Pepe nasce in modo classico, rigorosamente dal vivo. Interpretando per lunghi anni, dalla sua Matera in giro per la Basilicata e dintorni, un repertorio che sente vicino e come attaccato alla sua pelle: Paolo Conte, Natalino Otto, Domenico Modugno, Renato Carosone, Fred Buscaglione, ma anche Franco Battiato, De Andrè. Ovviamente c’è anche molto jazz, come il bepop di Coltrane, il free di Coleman, quello di tradizione come quello avanguardista. Dopo molti anni decide anche di laurearsi in canto jazz al conservatorio di Matera. Una sorta di John Travolta della canzone in jazz. Così si sente da subito. E infatti non disdegna lavori come autore e conduttore in emittenti televisive, in spot pubblicitari, conduce live show alternando lati giocosi a parti più istituzionali. A suo agio in questi abiti che veste e sveste con brio, humour e ridanciana baldanza. Dirige anche artisticamente diverse manifestazioni sparse tra la Puglia e la Basilicata. Conosce un giorno Valter Sivilotti e con coraggio e una dose di follia gli chiede “per cortesia”, come ama raccontare Saverio, di musicare i suoi testi. Valter, con grande stupore di Saverio, accetta e nasce così la meravigliosa avventura di “Canto male il jazz”. L’incontro con Sivilotti (arrangiatore già per Elisa, Cristicchi, Mina, Antonella Ruggiero, Katia Ricciarelli e tanti altri) produce rapidamente il coinvolgimento di musicisti stellari i cui nomi da soli, sono una vera e propria enciclopedia della musica italiana: Marco Tamburini alla tromba e filicorno, Daniele Scannapieco al sax soprano e tenore, Aldo Vigorito al contrabbasso, Guido di Leone alla chitarra, Antonio Ippolito al bandoneon, Giovanni Scaciamacchia alla batteria. Impossibile davanti ad un ensemble di questo genere, riuscire a cantare bene. Soprattutto il jazz. E infatti, dopo aver cantato tutte le canzoni, ha deciso con lucida follia di intitolare il disco: Canto male il jazz. Forse proprio perché si era reso conto di averlo cantato “malissimo” ma fortissimo nello stesso tempo.