Storie del Sud – La Viceregina, il Monastero, il Mallardo di Vito De Filippo
Si è svolto per “I Venerdì Culturali di Presenza Lucana” un appuntamento, per la presentazione del testo di Vito De Filippo, Presidente della regione Basilicata, dal titolo: “La Viceregina, il Monastero, il Mallardo Sant’Arcangelo di fine 1600”.
L’incontro è nato dalla collaborazione con l’Associazione “Identità Lucana” presidente Antonio Bruno.
L’appuntamento facente parte della cartella dell’Associazione “Storie del Sud” ha avuto, come relatori, Silvano Trevisani, Giornalista del Corriere del Giorno (Caporedattore delle pagine culturali), Lucio Attorre, critico d’arte ed editore potentino (EditricErmes) e l’autore del testo Vito De Filippo.
Mario Calzolaro ha letto nella lingua italiana del 1600 due documenti con la descrizione del Monastero dei padri Riformati di San Francesco, una delle quattro famiglie dell’ordine francescano, e del paesaggio “la Terra Vecchia” di Sant’Arcangelo che conserva lo stesso schema abitativo di altri paesi lucani.
Romano Battaglia scriveva che “Ognuno ha un paese nell’anima. È il luogo dove siamo stati più tempo. È il paese dove abbiamo trascorso l’infanzia, dove abbiamo giocato, dove abbiamo imparato la vita”.
Lo stimolo a scrivere un libro su Sant’Arcangelo, paese in cui è nato, l’autore lo ha trovato dentro di se, nei silenzi del borgo, nelle storie più volte ascoltate e raccontate dagli anziani, nel legame viscerale che egli ha con la terra di Basilicata, che rappresenta, in qualità di Presidente, nella voglia di andare oltre il racconto e scavare negli archivi di stato della città in cui ha compiuto gli studi e di cui si è innamorato: Napoli.
Soprattutto il suo è un amore per la storia e una ricerca, da affidare, tramite questo libro e un altro scritto in più giovane età dal titolo “S: Arcangelo linee di storia dal VII al XVII secolo”, al tempo.
“Una volta quando si emigrava o migrava in città lontane o in altri continenti, si cercava nel territorio in cui ci si trasferiva “U paisane” ovvero l’amico che era il referente, sia per la lingua, sia per le primarie necessità e soprattutto per le conoscenze acquisite sul territorio. Michele Santoro, moderatore dell’incontro, ha ricordato, con questa metafora, il ruolo che le associazioni lucane nel mondo, ne esistono 174, svolgono in simbiosi con la Regione di appartenenza.
Nella sua relazione Silvano Trevisani, prima di entrare nel tema del testo, si è soffermato sulla necessaria centralità che la cultura deve avere in ambito politico, poiché, oggi, il ruolo assegnatole è marginale.
Il rapporto e l’amicizia tra il relatore e Presenza Lucana si è consolidato nel tempo anche con la presentazione dei testi
- Borboni e briganti;
- La Puglia dei santi, i luoghi di culto e i monumenti;
- Storie di terre e di sole: misteri, malombre e prodigi nei racconti popolari del Sud.
“La passione di De Filippo spiega anche la capacità di leggere la propria terra e il rapporto che ha con i suoi abitanti” (Trevisani).
Il libro ruota intorno all’Apprezzo, cioè la stima, che gli ingegneri napoletani Lorenzo Ruggiano e Antonio Galluccio fanno del territorio, della Viceregina Anna Carafa e del figlio morto senza eredi.
In particolare il territorio “Apprezzato” è quello dello stato di Stigliano, formato dalla terra di Stigliano, Sant’Arcangelo, Aliano, Alianello, e Roccanova.
Anna Carafa, principessa di Stigliano e in seguito alle nozze con Ramiro Filippo di Guzman, Viceregina, seppe farsi rispettare a Napoli. Qui acquistò l’albergo Serena e lo trasformò in un nuovo palazzo sede di grandi feste, chiacchierate nel tempo. Alla realizzazione del Palazzo fu chiamato il grande architetto Cosimo Fanzago, vicino alla città di Taranto perché a lui fu commissionato dall’Arcivescovo Mons.Tommaso Caracciolo il disegno del Cappellone di San Cataldo. Tuttavia, secondo Labrot in “Baroni in città”, l’architetto che realizzò il disegno del
Palazzo fu Bartolomeo Picchiatti.
La nuova costruzione fu chiamata Palazzo Donn’Anna o Dogn’Anna come scriverà Matilde Serao in “Leggende Napoletane” nel 1881.
Questo è un palazzo sfortunato, abitato da spiriti maligni secondo la leggenda; così come accaduto a precedenti proprietari della famiglia Bonifacio e Rivaschieri, anche la Viceregina muore all’età di trenta anni.
Oltre al Monastero, un luogo importante, nella Sant’Arcangelo del tempo, era rappresentato dal Palazzo della Cavallerizza, grande maniero, luogo di svago e di caccia e famoso in tutto il regno per l’allevamento dei cavalli di una razza pregiata.
L’edificio, secondo il Satriani, era composto di tante stanze, tutte affrescate, per quanti erano i giorni dell’anno e ognuna di esse aveva un nome di un santo oppure di un antico guerriero.
Quando i due ingegneri napoletani giunsero alla Cavallerizza per l’apprezzo, il palazzo si presentava, ancora, come “un grande edificio” con visibile una lunga “carriera” (corridoio lungo più di duecento metri in cui si allenavano, al chiuso, i cavalli per il combattimento). La Cavallerizza conteneva, in ampi spazi, più di cento cavalli.
Nella stima fatta dei cosiddetti “beni burgensatici” al primo posto, per maggiore rendita figura il “Palazzo” situato nel Quartiere di San Giovanni.
In un mondo dagli interessi molto ampi quale coinvolgimento può avere la lettura paesaggistica e storica di un paesino collinare?
Come può una storia di un piccolo paese essere valutata e considerata?
Lucio Attorre ha iniziato il suo intervento prendendo le distanze da Benedetto Croce che concepiva solo la grande storia. Il critico a tal riguardo ha voluto citare il successo editoriale del testo “Montaillou”, piccolo paese francese, di Le Roy Ladurie, in cui l’autore analizza la ricchissima fonte costituita dal registro inquisitoriale del vescovo Jacques Fournier, futuro papa Benedetto XII. Il testo Montaillou è stato tradotto in più di venti lingue e venduto in milioni di copie.
E’ il proliferare di tante piccole storie locali che permette una migliore conoscenza di noi stessi. Non possono esistere distinzioni tra grandi e piccole storie.
“Qualsiasi contributo o impegno intellettuale è sempre un grande sforzo, un dono che chiunque lo produca offre alla sua comunità o al genere umano. Per questo il libro di De Filippo è storia di universalità”. (L. Attorre)
De Filippo, si è soffermato sulla gioia che ha provato come studioso quando si è inoltrato nell’immenso Archivio di Stato di Napoli, sezione notai. In questo settore ha trovato tutti gli appunti per la scrittura del suo testo sull’apprezzo con una ricca bibliografia.
L’autore forte della sua cultura storica-filosofica-umanistica ha espresso un suo convincimento che tutti siamo figli del luogo in cui siamo nati e che la genetica e la geologia si condizionano a vicenda. Franco Arminio, poeta, scrittore, regista, (autore di Terracarne) ha creato una nuova scienza chiamata Paesologia che è un rapporto etnografico esistente tra uomo e territorio. Per questo il carattere dell’uomo che abita in una zona è particolarmente condizionato e diverso da altri che sono nati e vissuti in altri luoghi. L’uomo della Basilicata, ad esempio, è mediamente poetico, malinconico e portato a essere caratterialmente chiuso.
Questo dipende dalla geologia del posto. “Abitare in un piccolo paese è un incanto di silenzi e riflessioni e un incontro poco rumoroso con il mondo, grande qualità questa dei paesi della Basilicata” (De Filippo).
La giovanissima Francesca Cacciotta, al violino, ha suonato due brani di musica del 1700 e Mario Calzolaro ha letto, in chiusura, quattro liriche tratte da “Dissimulando” silloge di De Filippo pubblicata nel 1999.
L’intensa serata è terminata con la consegna delle pergamene a tutti i relatori e di una targa al Presidente De Filippo.
Michele Santoro