Un materano tra gli scatti della mostra “Mille autoritratti, mille false Polaroid”
La scuola di Specializzazione del Dams di Arti Visive di Bologna presenta DAMS ATTACK, la mostra fotografica che raccoglie i lavori prodotti dagli studenti del triennio del Corso di Fotografia del professore Claudio Marra.
L’intenzione è quella di documentare una generazione di studenti d’oggi: “fotografandoci” immersi nell’ambiente che ci circonda, con i nostri cari, in panni altrui o selezionando una parte del nostro corpo, noi ci raccontiamo.
1.000 polaroid attaccate sui muri di Santa Cristina, un mega poster che non rappresenta un cantante o una star ma NOI, semplicemente noi: una pseudo polaroid, reperita da un programma in rete, che sta ad indicare la bassa autorialità e la bassa definizione della foto stessa. Insomma, viviamo anche sui frigoriferi, sulle ante degli armadietti del bagno, sui muri metropolitani, ovunque siamo passati e ovunque ci sia bisogno di noi!
Lungi dalle contemporanee diatribe tra analogica e digitale, la fotografia, si sa, è un’arte che ci cattura, ci immortala, ci congela in un’immagine, “rubando” poeticamente un po’ della nostra vita. Il tema dell’autoritratto fotografico è stato scelto da molti artisti come Luigi Ontani, Cindy Sherman, Yasumasa Morimura, che giocavano con il trasformismo e la possibilità di costruire un altro da sè.
Tra gli studenti, ha partecipato anche un materano, Francesco Masciandaro, che ci racconta così la sua esperienza: “l’autoritratto fotografico è anche tema di indagine psicologica, di autorappresentazione e conoscenza di se stessi: molto spesso è impronta vivida della nostra realtà, come nelle tracce dei passaggi di Franco Vaccari il quale si presentò alla Biennale di Venezia del 1972 con un lavoro intitolato “Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio”, istallando in un salone una cabina per fototessere, fototessere vivide, pregne di vita, valorizzando l’automaticità del processo fotografico, ribaltando in un certo senso il pensiero di Charles Baudelaire, convinto che la fotografia fosse “la palestra dei pittori mancati”. I difetti che per Baudelaire impediscono alla fotografia l’identità artistica sono: il mimetismo nei confronti del reale, la scarsa manualità necessaria e infine l’asservimento all’industria”.
Conclude Masciandaro: “Ho voluto inglobare uno sguardo impassibile e freddo di fronte ad uno obiettivo fotografico, vestendo i panni di una macchina e rappresentandomi nel modo più oggettivo possibile, senza imporre i propri voleri su quelli della casualità e automaticità del mezzo. Automaticità è uno dei punti cardini della Pop Art, che con la fotografia ha in comune diversi punti: estroversione, ingrandimento, isolamento e ripetizione. Non a caso Andy Warhol, che rappresenta il caso più limpido ed emblematico di artista pop, in un’intervista del 1963 risponde alla domanda Che cosa è la Pop Art?, Warhol rispondeva che la Pop è “amare le cose” e per fare ciò bisogna “essere come una macchina perché solo cosi si può continuamente fare la stessa cosa”.