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Zone rosse in Basilicata, nota di Rospi

A causa del diffondersi dell’epidemia da Covid-19 nel nostro Paese, sono stati emanati diversi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri al fine di individuare le c.d. “zone rosse”, dove applicare limitazioni delle libertà, costituzionalmente garantite con lo scopo di contenere il diffondersi dell’epidemia. Tra le zone rosse individuate dai vari Dpcm, circa 106 su tutto il territorio nazionale, vi erano vari comuni della Basilicata e dell’Abruzzo, proprio perché risultati focolai dell’epidemia da Covid-19. Il 19 maggio scorso è stato emanato il decreto-legge n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), il quale, all’articolo 112, ha previsto un fondo di 200 milioni di euro per tutti i comuni ricadenti nei territori delle province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza e per tutti i comuni dichiarati zona rossa, compresi ovviamente quelli lucani e abruzzesi. Il giorno seguente, ahimè, è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale (Serie Generale n. 129) una rettifica che di fatto ha rimosso dal Decreto-legge anzidetto, tutti i comuni italiani ricadenti nelle zone rosse, compresi quelli lucani e abruzzesi. A riguardo, insieme ai colleghi Michele Nitti e Antonio Zennaro, ho presentato una interrogazione al Presidente del Consiglio per sapere se sia a conoscenza della problematica, quali siano le motivazioni che hanno portato all’esclusione di tutti i comuni ricadenti nelle zone rosse dalla fruizione del fondo previsto all’art. 112 e quali iniziative intenda assumere al fine di reinserire gli stessi
comuni, compresi quelli lucani e abruzzesi, tra quelli che possono accedere al fondo previsto dal D.L. 34/2020. Escludere, dalla fruizione del fondo, tutti i comuni ricadenti nelle zone rosse, risulta infatti essere una grave discriminazione verso tutti i cittadini di quei territori che hanno dovuto affrontare e sconfiggere l’emergenza epidemiologica e significa abbandonarli in vista della grave crisi economica che seguirà quella
sanitaria.

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